lunedì 30 luglio 2012

Il supereroe Vladimir Majakovskij


Passeggiando per i teatri imperiali di Leningrado, lo slavista Angelo Maria Ripellino, con lo sguardo rivolto ai grandi arazzi rubini adagiati su stucchi e ritratti di maestri di scena, domandava: «Majakovskij, Mejerchol'd, Ejzenštejn, dove siete finiti?». All'eroico (ed erotico) trio della rivoluzione maiuscola, lo scrittore si appellava con lo stesso incanto che diffondeva camminando per i corridoi dell'università romana, quando in faccia ai muri e ai tordi, citando il Vladimir, urlava «Parrucchiere, mi pettini le orecchie!». Incanto sì, in Ripellino, ma anche tanta troppa mestizia c'era in quell'appello inascoltato, per l'opacità che andava divorando il tempo suo e quello a venire. Era la fine degli anni Cinquanta, e «lo stalinismo già volpeggiava negli arcani casamenti di Kafka».

Paolo Bonacelli, l'artista e la merda

«Era della golosissima cioccolata amara con canditi». Perché io me lo sono sempre chiesto: quella che il repubblichino per finzione Paolo Bonacelli, in Salò o le 120 giornate di Sodoma, calandosi le braghe rilasciava sul pavimento, tra le risatine dei gerarchi, la pietanza escrementizia di cui la vittima doveva cibarsi, era vera merda? No, cacao. «Io e gli altri interpreti ci divertivamo come matti. Alla fine della scena ce la mangiavamo con appetito. Per noi era solo ottima e innocua cioccolata». Ma quando lo incontrano e ci parlano, e salta fuori Salò, la domanda è sempre accompagnata dal disgusto. Come se non fosse chiara, dice l'attore, la linea che separa la realtà dalla fantasia. Il patto tra immaginario e modelli sociali. Croce e delizia, merda e cacao, di questo Paese. Ma Bonacelli, che ha il talento di non perdersi in funambolismi mentali, si limita a sostanziosi aneddoti, e aggiunge che «I piselli dei ragazzi sottomessi erano solo protesi di gomma».

lunedì 4 giugno 2012

Pornografia di una nazione


Qualche settimana fa un tipo americano è stato arrestato perché faceva sesso con la sua automobile. Gli agenti lo hanno sorpreso mentre cercava di penetrare la marmitta della sua Ford. Non si capisce il motivo delle manette. Fare sesso con l'inorganico – aspirabriciole, citofoni, poltrone – se consenzienti, dovrebbe essere un diritto di tutti. Eppure il gesto dello yankee ha inorridito molti. «È un pazzo, che schifo, che gusti orribili». In Rete si è sollevato il dissenso, lecito ma ipocrita fino al midollo, per una pratica che ha un suo nome, mechanofilia, e molti seguaci: quanti sono gli italiani che lavano, guardano, lucidano e accarezzano la propria auto con una cura che mai concederebbero a cose e persone sprovviste di targa? Tantissimi. Eppure la passione per la cromatura, stranamente, non abita l’indice porno dell’utente italiano, precipitato digitale di tutti i luoghi comuni e pecorecci di un Paese fermo agli anni Cinquanta.

martedì 22 maggio 2012

Sei stata (anche) una grande cantante


La cantante di jazz guardava le locandine del Mocambo, il popolarissimo club di Hollywood, divorandole con gli occhi. Suonare lì voleva dire spiccare il volo. L'impedimento non era il talento, che già aveva ottima stampa e un seguito da far invidia a colleghe più introdotte, ma l'essere una donna afroamericana (erano gli anni Cinquanta, e non si viveva di solo Billy Wilder). Per questo l'amica bionda, anche lei vocalist, allieva di Hal Schaefer, e attrice di fama, vantando un bel credito con quel locale, alzò la cornetta e chiamò il proprietario. «Se ingaggiate Ella – confesserà anni dopo la Fitzgerald – sarò presente ogni sera, seduta al tavolo di fronte al palco». E così fu. «A ogni esibizione era lì. Con i giornalisti ad affollare il locale».

La bellezza della bruttezza

Che brutta cosa che può essere la bellezza. Quanta crudeltà e ossessione sprigionano i suoi occhi, abituati nei secoli ad essere omaggiati da élite e oligarchie. Guerre dichiarate per una bellezza sottratta. E i miti e le divinità elette per celebrarla. La bellezza, l'insegna sotto cui si scatenano le più incontrollabili pulsioni. Con un unico rivale: il denaro, diceva Marx, «il solo che può compensare la mancanza di bellezza». Sinonimo dunque di opulenza, privilegio. Capitale. Strumento all'uopo aggressivo, cinico e spietato. La bellezza non olet. E la sua ferocia, col bagaglio di finzioni e meschinità, di effetti speciali e piaggerie, trova nella sua ombra, nell'identità uguale e contraria che si porta dietro dai tempi di Policleto – la bruttezza – il bersaglio prediletto.

venerdì 20 aprile 2012

E.T., torna a riprenderci

Avevo nove anni e fortissima fu la sensazione del dito luminoso sulla fronte: «Io resterò sempre qui», prima di risalire sull'astronave e addio. La sala che si accende e mia nonna che maschera la commozione con un sibilo: «bello, eh?». Una volta fuori, dicembre 1982, lei tornò alle sue cose e ai film di parola, io presi a crescere, e al cinema insieme non ci tornammo più.

lunedì 9 aprile 2012

Suicidi e altri abbandoni


 - 3 aprile Nunzia C., 78 anni, si lancia dal terrazzo di casa. L'Inps le aveva ridotto la pensione da 800 a 600 euro.
- Il primo aprile un artigiano di 57 anni si è impiccato all’interno della sua bottega a Roma per ‘’problemi economici’’.
- Il 27 marzo scorso Giuseppe Pignataro, 49 anni, di Trani, si è lanciato dal balcone perché non riusciva a trovare un lavoro stabile.
- Il 23 marzo un imprenditore quarantaquattrenne di Cepagatti (Pescara) si è impiccato nella sua azienda, strozzato dai debiti.
- Il 21 marzo un uomo di 47 anni che gestiva un’attività commerciale da due anni era senza lavoro, si è ucciso con un colpo di pistola nella sua automobile nel cosentino.

giovedì 15 marzo 2012

La sigaretta rende le persone migliori
(La versione di Marcenaro)

Ho una mia teoria, sul perché “fumare” urti tanto gli altri: non è per l’odore, la coltre, la nicotina che nuoce o la gestualità un po’ di maniera, che il tabagista gode di pessima nomea. Ciò che taglia il mondo più delle ideologie sta nella relazione intima tra il fumare e il respirare. Le sigarette danno forma e sostanza al respiro, così impalpabile e vitale, conferendogli la capacità di avvolgere i corpi altrui. È il test di misantropia più fedele che si possa esperire: o si amano gli altri o si odiano i tabagisti. Non ci sono vie di mezzo. Mi pare di capire che Andrea Marcenaro sia, magari partendo da altre premesse, d’accordo con questa lettura. Marcenaro è l’autore di quella perla quotidiana, “Andrea’s Version”, con cui Il Foglio invita alla lettura. E confida un incidente di percorso che i maschi fumatori più avvezzi hanno provato tante volte: «Stamattina mi sono acceso la prima mentre stavo in bagno. Buttando la cicca nella tazza mi sono bruciato una palla. Stretto nel dolore come Fantozzi mi sono fiondato sul bidet e ho aperto il rubinetto che credevo amico, investendo la palla di acqua rovente».

Sabrina e la parodia reale

Eppure in sonno m'è venuto il sospetto: e se "Un due tre stella" fosse stata una straordinaria parodia? L'arena informal-borghese dello studio – ho pensato – le luci smorzate, Sabina sempre in piedi con abuso di inquadrature "all'americana", gli interlocutori stravaccati e a gambe tese, quel generale senso di caciara controllata delle assemblee di sezione (o di condominio), il rimpallo costante di vocaboli come "crisi", "debito", "marchionne", i giovani brillanti-a-cui-tarpano-le-ali. Cos'altro se non una gustosa parodia de L'Infedele di Lerner?

Carmelo Bene, la televisione e l'amore per il pubblico

La tensione intellettuale con cui Nostra signora del teatro teneva agganciati noi, popolo televisivo, ai suoi Uno contro tutti, felice invenzione di Maurizio Costanzo in Parioli, fu ribaltata una sola volta. Da Roberto D'Agostino. Dacché Carmelo Bene aveva ripetuto a più riprese: «Io non esisto», Dagospia, uno dei tutti, azzardò: «Ma se lei non esiste, perché si tinge i capelli?». Ridemmo in tanti, e non solo per aver beccato il potente (di verbo e intelletto) in fallo. Cedendo alla provocazione inattesa, l'artista salentino smise per un istante di considerare se stesso come il solo pubblico accreditato. Con sorriso cortese e pupille tremanti, Bene tradì la consueta distanza con cui firmava le sue rare e popolarissime incursioni televisive, e confermò la regola di non essere «mai in diretta», come scriverà Enrico Ghezzi, «che è il senso più forte di tutto il suo lavoro».

mercoledì 7 marzo 2012

L'ira funesta del manager nichilista

Dice Corrado Augias: «Marchionne non mi piace perché è ambiguo». Dunque cos'è l'ambiguità? Nella linguistica viene definita polisemia, pluralità di significati. Io intendo una cosa, tu la interpreti diversamente. Ambiguo è ciò che duplice, equivocabile, tortuoso. Ambigua era la lingua di Mallarmé, di Apollinaire, di Joyce. L'uso di parole composte e artificiali per rovesciare la realtà ed esibire il vero. Tutto si può dire su capitan Sergio ma, se paragonato all'iconografia tradizionale e artefatta degli uomini che hanno fatto l'impresa, sorriso ampio e cinturino sovrimpresso, la presunta ambiguità dell'italo canadese qui si fa virtù. Marchionne, evocando mistero e non detto, se seguito con attenzione, potrebbe condurci a evidenze più solide di quelle propagandate dal lessico neo-calvinista che domina la sua legislatura. Procediamo con ordine.

Ave, Maria

Dopo aver brindato alla vittoria della “sua” Emma, Maria De Filippi ha prontamente annunciato di voler realizzare un «sanremino» sulle reti del biscione. Quell'-ino sa un po' di rivincita e un po' di presa per il culo. Ma lei può, e non solo perché da anni fornisce ai due poli gli ingredienti migliori da cui cavare numeri e denari, ma perché la forza di questa signora nata a Milano 51 anni fa, laureata in giurisprudenza, con un marito che è ormai "il marito della De Filippi" (Costanzo lo conobbe nell'89, pensate,  durante un convegno contro la pirateria), piacente e austera, erre moscia e voce graffiata e mentina in bocca come fosse un intercalare, occhiali e tacco dodici e nulla a che vedere con le euforiche nevrosi delle sue colleghe, la forza di Maria, dicevamo, sta nel fatto che lei, negli anni, ha prodotto ben più che format di successo, ma, semmai, un grandioso, adorabile, detestabile racconto collettivo. Così andrebbero considerate le sue creature, Amici, Uomini e donne e C'è posta per te: come una saga, una guerra stellare del quotidiano, una trilogia of life.

domenica 29 gennaio 2012

L'inno del corpo sinistro


Lo so, chiedere a me, maschio manco troppo plurale, di scrivere un articolo sul corpo e la sinistra, con a fianco l’intervista a Lea Melandri (cfr. Gli Altri settimanale del 3 febbraio), è come mettersi comodi, aprire il sipario e godersi la buccia di banana. (È il ventesimo incipit che scrivo e forse l’unico che merita la lettura). Ora, se compongo queste righe non è (solo) per presunzione, ma perché camminando su e giù per il vuoto mentale mi sono ricordato di Giampaolo Pansa, e di un suo articolo del lontanissimo 1999. C’era la guerra dei Balcani, e gli italiani, governo D’Alema, come ricorderete, spedirono da par loro una dozzina di aerei su Belgrado. L’allora editorialista dell’Espresso scrisse un pezzo contro chi era contro. Massimalisti, velleitari, estremisti, eccetera. Io, che non ero di nessun partito e chiesa – ma a domanda rispondevo genericamente: sono antagonista – prima di partire per la base Nato di Aviano e ivi protestare, scrissi una lettera al compagno Pansa che oggi definiremmo “indignatissima”, per esporre le mie ragioni. L’ho persa, ma il finale suonava più o meno così: «...per questo noi abbiamo deciso di stare lì dove decollerà la morte, per testimoniare un’alternativa possibile. E lo faremo con i nostri corpi». A parte il tono da crociato, l’intuizione non era niente male. Invece di usare termini come “idee”, “bandiere” o “slogan” – che certo non mancarono – parlai di “corpo”, quella cosa con cui facevo l’amore e che gratificavo con calorie e sigarette.

lunedì 23 gennaio 2012

Non toccate il soldato DotCom

Non toccate il soldato Kim Dotcom. Al fondatore di MegaUpload e di Megavideo, l'impero dello scrocco cinematografico, inesauribile fonte di film taroccati a cui tutti ci siamo abbeverati, non andrebbe torto un capello. Per coerenza (nostra) andrebbe trattato alla stregua di un benefattore ribelle, di un generoso nerd sovrappeso che ha scelto di donare all'umanità i frutti dell'ingegno. Ma l'irriconoscenza domina, il potere non si smentisce, e così gli uomini in nero dell'Fbi lo hanno caricato in macchina recitando una lunga lista di capi d'accusa (dalla pirateria alla ricettazione) e promettendo 50 anni di galera. Senza sapere che più che consegnare un pericoloso criminale alla legge, stavano contribuendo, e manco poco, alla prima guerra via bit. Quella tra le truppe degli scaricatori di file e le multinazionali di varia specie, la cui fragilità si è trasformata in ferocia.

martedì 3 gennaio 2012

La liberazione di Liberazione


E se il destino di una testata fosse in qualche modo legato alla topografia della redazione? Repubblica, per esempio, è stretta tra una banca e la Cristoforo Colombo e ha la forma di un'ammiraglia per le Americhe. Il Messaggero: "bow window" sul Tritone e cortile sulla Questura, è antico come lo struscio di quella parte di città. Oppure lo specchio riflettente di Palazzo Chigi che è Il Tempo: vivrà tanto quanto la colonna romana che lo impala. Rannicchiato alle pendici del Bottegone, Il Riformista ha trasformato il "vecchio" in vintage, come il disegno della sua testata. E il manifesto? Ora è altrove, ma la sua strada, quella che per anni ne fu sinonimo, rimane via Tomacelli: la sua fortuna è cresciuta all'incrocio tra la bohème di via Ripetta e piazza del Popolo.

venerdì 16 dicembre 2011

Napolitano, daddy pop


Non c'è luogo, salotto, vagone, negozio, circolo, sito, trattoria, redazione, confessionale in cui non si sia detto nelle ultime settimane, alzando il mento come a dar solennità: certo che il Giorgio l'è stato proprio bravo a 'sto giro... in due mosse ha spiazzato tutti e finalmente ha fatto… – pausa da cerimoniale, occhio sgranato verso una linea immaginaria con gli astanti in partecipata attesa – …politica.
Giorgio "The King" Napolitano, dicono i fan in forma di sceneggiatura, ha cacciato Berlusconi, ha salvato l'Italia dal baratro e ha ristabilito il decoro. Tre atti, come in un plot perfetto. Un Harry Potter targato Inps, occhialuto e dal passo british, ha dato spessore al motto più "migliorista" dei due mondi: primum vivere deinde philosophari. Con inclemenza e un senso assoluto delle procedure, sir Giorgio, il più regale dei comunisti italiani, il meno velleitario, il più pragmatico e poliglotta del Bottegone, non solo ha suscitato nuova speme nella borghesia italiana, affilando l’accetta dell'emergenza, ma si è guadagnato il podio del politico più popolare.

mercoledì 14 dicembre 2011

Viva i soldi!


In questi giorni di addobbaggio massivo di natalizio spirito, mi sono ricordato di fratello Caravaggio. Il suo volto stropicciato dalla gastrite, come ricorderete, campeggiava sul lato buono delle centomilalire. Dieci anni sono trascorsi da quegli occhi tondi e disincantati, testimoni di passaggi in cassa e acquisti festivi. Senza cambiar d'espressione, il più talentuoso dei pittori si abbandonava in altrui mani – «se vedemio, compare» – lasciandoci in dote altre facce, di ben più basso lignaggio: la materna Montessori, per esempio (lire 1000), o le 5mila del puntuto  Bellini. Non è amarcord, questo. Chissene della lira. Ma visti da qui, quei volti miniaturizzati, non erano, di vile pecunia, semplici testimonial, ma portavoce in filigrana di un legame tra le persone e la carta moneta, tra il lavoro e il denaro prodotto, tra le antiche arti e le progressive sorti. Era l'economia. E le centomila avevano gli occhi di un genio omicida.

Pd, il tecno-segretario e quella voglia di congresso…


Beccatevi la citazione: «L'aspetto totalizzante della tecnica va a costituire l'orizzonte ontologico entro cui qualsiasi azione, anche rivolta contro la tecnica, non può mai porsi comunque del tutto al di fuori di essa» (Emanuele Severino). Insomma, di fronte al governo Monti, l'umano Bersani non può nulla. Nulla sul fronte interno – del partito può solo limitarsi ad amministrarne l'attitudine al correntismo, e nulla su quello esterno: revocare l'appoggio all'esecutivo? Ma siam pazzi? Una sola battuta in commedia, dunque, gli è concessa: «Il Pd è unito». Ripetuto allo sfinimento, suo e degli astanti.

giovedì 24 novembre 2011

L'occasione degli amici Pd di Marchionne

C'è del Pd in Danimarca. La parolina intorno a cui si concentra il ring democratico è flexsecurity, termine che deve alla patria della Sirenetta la sua fama. Prevede la massima libertà di licenziamento da parte dell'impresa a fronte di un'indennità complementare al 90% dello stipendio, per il primo anno di disoccupazione. Il gruppo sostenitore di questa linea in salsa italiana è guidato da Enzo Bianco, e l'estensore è Pietro Ichino, giuslavorista dal doppio destino: minoritario nel partito di Bersani, vincitore morale nell'esecutivo Monti, che delle idee del senatore si farà garante. Lo ha detto a chiare lettere il premier stesso, nel suo discorso al Senato, intrecciando le lodi alla flexsecurity col riconoscimento del modello Marchionne.

martedì 15 novembre 2011

L'era del pene pubblico


«Gran parte dei maschi sono talmente orribili che meritano che se ne cavi tutto quanto si può!» (Marilyn Monroe)
Cosa resterà del maschio cresciuto, educato, svezzato ai tempi del berlusconismo? È stato tutto negativo, nella terra dei papi, oppure qualcosa andrebbe salvata? Ora che il capo è caduto, e che stiamo per imboccare il viale della sobrietà forzata, quali tracce restano nella ignominiosa storia maschia? Tutto fango? Nessun fungo?

Della militanza, dell'indignazione e del divertimento


Cominciamo dagli applausi. Un tempo c'erano quelli "alla bulgara". Ben scanditi, in un crescendo rivoluzionario. Applausi scroscianti, serissimi. Un solfeggio ossessivo verso l'ovazione. Anni dopo, i nostri, assistiamo all'applauso indignato. Silenzioso, meno solenne e senza battiti. Solo mani carosellanti, come i bambini con le filastrocche. Leggeri ma non faceti. Perché di cose i movimenti se ne possono pure inventare – tendopoli, trampoli, sedute yoga, carovane danzanti, cori allegorici – ma da un'altra non possono prescindere: l'impegno. Per uscire dalla crisi, per cambiare lo stato delle cose esistenti, per evitare che la rivoluzione si faccia pranzo di gala (che Mao Tse-tung non avrebbe disdegnato. Era il conto che lo spaventava), va bene satireggiare – talvolta – ma distrarsi mai. Ridere sì, divertirsi no. Etimologicamente parlando, il divertimento volge altrove. Devia dall'obiettivo di rendere il mondo un posto possibile. Per questo a sinistra, nello sforzo di elevarne il significato, di voli pindarici si è fatto incetta: «tempo liberato dal lavoro», «cultura e ricreazione» (Arci), «attività socializzanti», «occasioni ludiche» e altre invenzioni tarate sull'inflazione e i suoi dolori. Qui si soffre e si lotta. Cosa mai c'avrete da divertirvi?

Freddie e Rudy, la più bella storia d'amore degli anni Ottanta


Erano gli anni Ottanta. Con il decennio dell'impossibile alle spalle, si esplorava – e finalmente –  la selva del possibile. C'è il sipario della guerra fredda e delle identità indichiarabili, e i lumi del superfluo, a incorniciare la più bella storia d'amore che quelle primavere ricordino. Lui è Farrokh Bulsara detto Freddie, muscoli torniti, scuro di pelle, baffi curati, posa da macho e voce da tenore su corde da baritono. L'altro, più grande di otto anni, è Rudolf Nureyev. Esile di corpo, raffinato nei gusti, levantino nel lusso e danzatore come non ce n'è altrove. È in Spagna che si incontrano la prima volta, durante il ricevimento regale di Juan Carlos e Sofia. C'è una foto. Sono in smoking. «Lei è un ballerino straordinario». «E lei sarebbe dunque Mercury?».

domenica 30 ottobre 2011

All'iPhone di Michele Serra Trony fa schifo

Ci deve essere un attico molto bello, a Ponte Milvio. Più bello di altri. Con una vista magnifica, di quelle panoramiche, che tutto vedono. In questo attico, in bilico tra il ponte dei lucchetti e il megastore Trony, ci abita (forse, chissà) una firma nobilissima. Che scrive, a proposito dei disordini per l’iPhone:

venerdì 21 ottobre 2011

Hanno fotografato Gheddafi

«Muammar Gheddafi è stato fotografato». Dunque è morto. Sta diventando un’orribile consuetudine, come fosse una delle tante categorie del porno digitale – dictators – il gesto di milioni di polsi che con un clic animano i video della vendetta. Piani sequenza spediti on line da mondi vicini solo nella retorica, a descrivere nel dettaglio la morte violenta dei colonnelli. Corpi linciati, volti tumefatti, teste più volte ruotate in malo modo a favore di camera (che nel caso del raìs di Misurata alcuni siti precisano compiaciuti essere un iPhone). Clip amatoriali, girati da mano giubilanti e rapite da una furia orgiastica, che, nella trasmissione, da siparietti di vendetta nazionale (noi – come per molto cinema – ne fummo pionieri con piazzale Loreto) si trasforma in fulgido esempio di sex appeal dell’inorganico*.

martedì 18 ottobre 2011

Padroni.com


Con Shuva ho un contenzioso aperto. Qualche anno fa mi ha sfilato da sotto gli occhi cinque lavori. Piccoli servizi di grafica per una grossa società inglese. Io e l’indiano avevamo pubblicato il curriculum sul sito Odesk, specializzato nel job on line. Buona conoscenza dei principali software di editing, fotoritocco, montaggio e varie ed eventuali. Una bella fotina sorridente, e la garanzia di prestazioni perfette. Il giochetto è antico come il mondo. Chi presenta la soluzione migliore – soldi e tempo – vince. La prima volta si trattò di montare un video di 30 secondi usando una serie di 10 foto, e titolarlo. Io pensai: alle quattro c’è la bimba, alle cinque la piscina, alle sette quell’appuntamento lì... in due giorni posso farcela. Tariffa? Restiamo bassi: 100 euro. Manco il tempo di digitare il pacchetto, che Shuva l’infame già sorrideva. Tre ore di lavoro per 15 euro. Non ci fu partita, chiaramente. E così per altre quattro volte.

martedì 27 settembre 2011

Evviva il fallimento (ma ora basta)


Dice il saggio: sbaglio o qui non c'è nulla che funzioni? È un'impressione, eccessivo pessimismo, o perdiamo pezzi come un'auto rotta? A proposito di automobile e scoramento, diceva Henry Ford: «Chi teme di fallire limita le sue attività. Il fallimento è solo l'opportunità più intelligente per ricominciare». Retorica da inizio Novecento? Forse. Però è una buona scialuppa a cui aggrapparsi. Per esempio: colui che per dogma dovrebbe godere dell'infallibilità, il Papa, atterrato a Berlino, e parlando della sua Chiesa, ha ammesso di comprendere le ragioni dei fedeli che danno forfait. Missione ecclesiale fallita. «Grazie, sono stati 2000 anni bellissimi, ci mancherete», avrebbe dovuto dire, Ratzinger il politico, invece di esortare a nuova luce (ma come Ford anche lui pensa che il fallimento ha senso in quanto grimaldello di un nuovo inizio). 

lunedì 26 settembre 2011

La politica e l'arte dello Shibari

Foto didascaliche, disegni tecnici e glossari nippo-ciociari. Da ogni dove le migliaia di commentatori italiani alle prese con le insidie pruriginose della cronaca, dopo essersi edotti nei templi web del sadomaso, possono finalmente esclamare con compiaciuta sicumera e altrettanto sdegno: «Bondage!». Una parte dirà bondasc, che fa più marchese De Sade, l’altra azzeccherà la pronuncia anglofona. Ma il sottinteso è lo stesso: che perversione, che aberrazione. Che modo ripugnante di vivere la sessualità! Eppure, pur ignorandone tradizione e tecniche, dolori e piaceri, l’arte della legatura, dell’incappuccio, del bavaglio o più in generale dell'impedimento alla libertà fisica, di muoversi, di vedere, di parlare, di sentire, potrebbe essere letta, dopo la poesia e la navigazione, come uno dei tratti più marcati della storia italica. Una metafora capillare di una patria che schiava di Roma Iddio la creò. Di un’Italia, non a caso, a forma di stivale. Di lattice. Tacco 12.

mercoledì 7 settembre 2011

iDie, la morte ai tempi di Steve Jobs

Essere Cristo è innanzitutto una questione di stile. Corpo emaciato, occhio luminoso, posa carismatica e veste essenziale. Quando partorì la Apple, trentacinque anni fa, Steven Paul Jobs viveva le sue giornate in un garage piccolo e umido, scaldato da una  stufa. Nel corso della sua ispirata ascesa, è caduto e risorto almeno tre volte, battezzando colossi come NeXt e Pixar. Mentre moltiplicava file ed emmepitré ha lottato contro i luciferini Microsoft, Google e Ibm, annientandoli con la forza del design. E oggi che ha raggiunto la vetta del Sinai, quando presenta le sue tavole (tablet), non parla ma predica. Se il padre del Mac passerà alla storia, sarà per la più ecumenica delle invenzioni: aver diffuso dalle grotte di Cupertino un nuovo esperanto, fatto di icone e rapide combinazioni. Mela C, Mela X, Control Mela Esc. Simboli immediati e universali su cui puntare il dito indice perché le cose accadano, in California come in Sicilia. È così che la dottrina del plug & play consola ancora oggi milioni di consumatori in cerca di virtù.

sabato 20 agosto 2011

Cannibali senza amore

Matej Curko, l'antropofago slovacco ucciso il 10 maggio scorso mentre stava per mantecare un amico, ci ha lasciato ampia documentazione su come friggere un seno. Il taglio, il tipo di padella, i tempi e le spezie. E un ventaglio di contorni a cui attingere. Armin Meiwes, meglio noto come il cannibale di Rotenburg, nel 2007 spiegò all'affamato pubblico televisivo come la carne delle sue vittime avesse «un odore insolito, e tuttavia piacevole, come di maiale. Una volta in bocca risulta molto tenera e saporita nel gusto». L'importante, precisò Meiwes, è aprire le danze con il boccone del re, il pisello. «Va fatto rosolare velocemente nell'olio di oliva con un pestato di aglio e cipolla». Scegliere con cura la provenienza di cotanta ciccia – maschio bianco dai 18 ai 30 anni.

lunedì 1 agosto 2011

La versione di Andrea Marcenaro


Una vestaglia bianca con uno squarcio sul lato coscia. Pantofolato. Due, tre paia di occhiali. Un pacchetto di sigarette nella tasca destra. «Vuoi un caffé?». In cucina, una pila di barattoli di marmellata di prugne. In soggiorno, due mappamondi lignei, enormi. In salotto una parete zeppa di foto di famiglia, da un lato. Disegni delle nipotine, dall’altro. Due sedie scomodissime, al centro. Nello studio, un grande computer bianco e una torre di giornali. Fuori, una palma altissima e canuta. «È morta, andrebbe tagliata». È sabato mattina. C’è sole e tutti al mare. Andrea Marcenaro, invece, deve scrivere una nuova “Andrea’s version”, la rubrica per Il Foglio. Deve scrivere quella cosa che in molti considerano un rap quotidiano, un’overture, un’apnea verso la battuta finale, un tonico, un calcio di rigore, un tuffo da mille metri, un lubrificante per la crisi, una barra di cacao, una sigaretta tabacco e miele, un poker d’assi. «Io giocavo molto a carte. Insieme a Erri De Luca e Lanfranco Pace, veri professionisti». Come una tisana, la rubrica di questo genovese di 60 anni e passa depura da tutte le tossine del ben pensare. «Ma non capisco proprio perché vogliate intervistarmi». Si siede come si sarebbe seduto Barney, quello la cui Versione fece scuola: con una lentezza ben scandita. «Cosa posso dirvi di utile?» Nulla. Questa vuole essere, e sarà, un’intervista totalmente non necessaria. Secondo la migliore delle filosofie.

domenica 17 luglio 2011

Roma violenta, nostalgia (della) canaglia

«E mo'? Che famo? Questi ammazzeno sul serio, mica pe' ride. No, dico, questi te pijano cor trucco daa rota bucata e te fanno fuori co' 9 pistolettate. Magari solo perché hai pestato er piede a quarcuno, anni addietro. A un cravattaro, 'no spacciatore, a n'amico de n'amico. Va a capì. Eppoi dicono, occhio quanno giri pe' San Lorenzo, Tor Pignatta, o lì, a San Basilio. Macché, questi spareno a Prati, er quartiere de quelli co li sordi. Boh, per me è 'n casino vero. Cioè, vojo dì, me pare 'na cosa seria».
Sì, probabilmente è una cosa seria, o per meglio dire: ora si comincia a vedere che la cosa è seria.

giovedì 7 luglio 2011

Il gossip è morto

Il gossip è morto. Dopo mesi dominati dalla politica dell’origlio e dall’esercizio quotidiano dello spioncino, il gossip è morto. Falcidiato dalle folte truppe di tessitori di lettere scarlatte, il gossip è morto. Schiacciato dalle vicende pecoreccio giudiziarie di Berlusconi e dalle reazioni uguali e contrarie dei neo puritani associati, il gossip è morto. E questa è l’unica cosa certa, perché se fosse vivo sulle prime pagine dei grandi giornali e siti web non campeggerebbe quel velo di sobrietà che fa tanto poco estate.

martedì 21 giugno 2011

Desiati? Stregatelo!

– Luglio, col bene che ti voglio, porta un premio in dono al narrator di Puglia che con un libro tosto, di lingua ricca e schietta, racconta la vicenda di una ragazzetta che dagli scogli e il mare, a seguire il padre, in Svizzera finì. Mimì. E lì, conoscerà un amore e l'inizio di una cosa con un nome, Ternitti, che non bisognava respirare. Poi, donna, con Arianna, tornata giù, fiera e sorprendente, l'intero paese da sopra un tetto finalmente riscattò –. Bene, con questa filastrocca sbilenca noi imbuchiamo nella cassetta del Premio Strega la nostra preferenza: vota Mario, vota Mario Desiati. Ci piace la sua protagonista, l'italiano e il dialetto salentino, le feste sacre e la modernità, il Sud arcaico e un Nord infinito e disperato, la vigliaccheria dei maschi e la forza delle vedove, la loro solitudine. E quel mostro dal nome poco conosciuto: asbestosi. La malattia avvelenata d'amianto che negli anni Sessanta divorò il corpo di centinaia di lavoratori pugliesi saliti a Zurigo senza armi e con pochi bagagli. Porteremmo fortuna a questo 34enne già pluripremiato così come fu per la scorsa edizione con Antonio Pennacchi, che a noi solo dovette la vittoria? Desiati dice no, non sarà così.

venerdì 17 giugno 2011

Vincere!

Stare bene. Dagli altoparlanti della canzone popolare risuona il motto: stare bene. Mangiare sano, pedalare senza tregua, stile-rana-dorso, dar di pilates, intossicarsi di maratone, caldissime saune finlandesi, tisane di ortaggi, ore alla wii balance, roteare il collo ogni dieci mail, smettere di fumare (e infatti: dove è nascosto il sigaro ciancicato di Bersani?).
Il fisico da intellettuale, segaligno, pallido, con le costole in vista e le chiappe depresse ha ceduto il posto al corpo democratico, asciutto, con gli addominali in fila per tre e un colon fichissimo. Dismessa la fregola rivoluzionaria, il buon compagno si è immerso in calendari ginnici, misurazioni cardiache e monitoraggi calorici. Alle scarpe rotte (eppur bisogna andar…) ha preferito quelle in saldo da Decathlon. Il pugno chiuso, se si allarga l'inquadratura, tiene ben stretta l'asta su cui a suon di flessioni si dà un senso ai deltoidi.

lunedì 6 giugno 2011

Se Mazinga avesse salvato Alfredino

Lo scorso 30 maggio i due corsivisti più seguiti d'Italia hanno avuto la stessa impressione: la vittoria di Pisapia nella casa del Biscione ha segnato la fine degli anni Ottanta. Per la cronaca, Michele Serra ha scritto questo:
«Ieri, lunedì 30 maggio 2011, verso le quattro del pomeriggio, sono finiti per sempre gli anni Ottanta italiani, il decennio più lungo della storia del mondo. È finita la politica del cerone e delle facce rifatte, delle convention, delle escort, delle olgettine, degli spot, della tivù dei telegatti e delle cerimonie di corte, dell’edonismo fintoallegro, dell’ignoranza caciarona spacciata per genuinità popolare (ingannando atrocemente il popolo). È finita la fiction». (continua qui)

martedì 24 maggio 2011

Biennale, 200 apostoli e un papa

Sapete quel matitone rosso e blu dell’ufficio censura? Quando il funzionario vergò di rosso vaste parti dell’adattamento del Galileo di Bertolt Brecht, Angelo Maria Ripellino disse, voltando le spalle: «No, grazie». Era il giubilante 1950, e il testo tra i più anticlericali della storia. Ma il celebre slavista rinunciò alla messa in scena, non volendo «fare una cosa brutta».

giovedì 19 maggio 2011

Non spegnete quella cicca

Ho smesso di fumare un anno e mezzo fa. Diciotto mesi. Cinquecentoquarantasette giorni, più o meno. Nell'estate del 2001 fumavo molto. Ne accendevo una dopo l'altra. Un chain smoker. Una catena di cicche. La mia fama, tra i polmoni, era pessima.

lunedì 16 maggio 2011

Lo spionaggio partecipativo

Non c'è nulla di difendibile in un autista che guida con i gomiti, avendo le mani impegnate da due cellulari. Fatta questa premessa, valida anche per i tassisti cocainomani e i piloti d'aereo 'mbriachi, credo sia lecito porsi un'altra domanda. Secondo voi è normale accendere un telefonino, avviare la videoregistrazione, riprendere l'illecito, salvarlo e spedirlo a una testata giornalistica che a sua volta lo pubblicherà suscitando tsunami di indignazione?

venerdì 6 maggio 2011

Centri sociali

L'Ikea è il luogo dove – no, non ci sono dati scientifici, pura indagine sul campo – si consumano i litigi più strazianti della storia delle coppie. Si entra con la voglia di metter su famiglia, si esce con il desiderio di sterminarla. Il bacio collettivo in risposta alle dichiarazioni del sottosegretario Giovanardi ha mitigato questa verità, trasformando i grandi magazzini nel quartier generale dell'amor profano e dei diritti universali. Il flash mob pomiciante sotto l’insegna giallo blu ha reso il mobilificio svedese uno spazio non solo sociale – l'oggetto stesso del consumo, dove spendere (appunto) il proprio tempo – ma finalmente politico. Un timido inizio (come quello contro la violenta titolare di Tezenis, a Porta di Roma), in uno dei luoghi deputati allo svago, secondo statistiche recenti, del 35 percento dei ragazzi (il resto si divide tra il bar sotto casa, lo stadio e la cameretta).

sabato 30 aprile 2011

Il lavoro, e beato chi ci crede

Una giornata bagnatissima - sarà - quella di domani. Come la scena raccontata nel film Roma di Federico Fellini, girata sul grande raccordo: lì la telecamera entrava nelle automobili in coda, e tra clacson e cavalli azzoppati restituisce ancora oggi una delle (sur)realtà tipiche della kaputt mundi.
Il regista girò quasi tutta la pellicola nel perimetro di Cinecittà: i vicoli di Trastevere, il Pincio, la stazione Termini. Per risparmiare, forse, e per sottolineare la naturale continuità tra Roma e l'immaginario cinematografico.

Domani l'intuizione felliniana tornerà con prepotenza. Una fiumana di persone, un esercito di comparse riempirà le strade e le piazze della città, dando vita a un colossal in presa diretta. Con canti e speranze, si raccoglierà intorno all'omaggio di un riferimento, un simbolo che per molti anni è stato al centro della vita di ognuno. E che oggi, con la sua assenza, rende più fragili le giornate di chi gli ha creduto.

Domani primo maggio si festeggia il lavoro.

(il miracolo del conclave di sinistra sarebbe eleggere a idea questo pensiero: reddito per tutti. Semo romani, volemose bene, damose da fa')

venerdì 15 aprile 2011

Asor Rosa, Lipperini e il problema

Prima leggete qui.

La bacheca a cui si allude è la mia.
(Mi sia concesso di saltare a pie’ pari sul commento “eutanasia”: tutti sappiamo che in rete chiunque dice la qualunque, così vanno i network, e censurare, più che scorretto, è inutile).
Mia (nostra?) è la colpa di non aver voluto ragionare sulle reali motivazioni che stanno alla base della forzatura di Asor Rosa. È vero. Occasione mancata. Ho preferito dargli del rimbambito che aprire un dibattito sulla fine delle istituzioni. Un po' come quando si liquida Berlusconi con un «quel nano mafioso». Oddio, non proprio così, ma quasi.

giovedì 14 aprile 2011

Il golpe di Asor

«Ciò cui io penso è invece una prova di forza che [...] scenda dall'alto, instaura quello che io definirei un normale «stato d'emergenza», si avvale, più che di manifestanti generosi, dei Carabinieri e della Polizia di Stato, congela le Camere, sospende tutte le immunità parlamentari, restituisce alla magistratura le sue possibilità e capacità di azione, stabilisce d'autorità nuove regole elettorali, rimuove, risolvendo per sempre il conflitto d'interessi, le cause di affermazione e di sopravvivenza della lobby affaristico-delinquenziale, e avvalendosi anche del prevedibile, anzi prevedibilissimo appoggio europeo, restituisce l'Italia alla sua più profonda vocazione democratica, facendo approdare il paese ad una grande, seria, onesta e, soprattutto, alla pari consultazione elettorale». 


Voi direte: Pinochet. No, Alberto Asor Rosa. Qui.


to be continued

mercoledì 13 aprile 2011

La pagina di Milena

Un pomeriggio di alcuni mesi fa mi ha chiamato sul cellulare una preoccupatissima Milena Gabanelli. «Sono Milena Gabanelli». Ho pensato che fosse vero dalla voce. La voce di Report non si confonde. «So che tu sei un esperto di Facebook». No, non sono un esperto di nulla. Ma ci sono cose dove si può fingere esperienza. Facebook è una di quelle. «Qualcuno ha aperto una pagina a mio nome, senza il mio permesso». Il tono si faceva duro, severo. Tanto che per un secondo ho avuto il timore di essere io, il colpevole. «E ora arrivano sulla bacheca di moltissime persone testi a mio nome, documenti e foto che io non ho mai autorizzato».
Avevano semplicemente aperto una pagina pubblica, di quelle dedicate ai personaggi noti, e invitato gli utenti a diventarne fan. «Non mi interessa, io voglio che quella pagina venga chiusa».

Vedendo la puntata di Report dell'altra sera, dedicata appunto a Facebook, mi è tornata in mente questa telefonata. Temo che le critiche mosse al social network da Gabanelli, il tono millenarista e dietrologico con cui ha confezionato l'inchiesta, nasca da lì, da quell'imperdonabile “abuso”, dall'apertura di una pagina che portava scritto nel titolo: «questa è la bacheca dei fan di Milena Gabanelli, la migliore giornalista della televisione italiana».

Berlusconi rende liberi

«C'è un topo in cucina. Finirà che morirà se non l'ammazzo». Dice così il vecchio cieco di Finale di partita di Samuel Beckett, impartendo l'ennesima lezione di vita al servo Clov, di cui è infine dipendente. «Ho pagato Ruby per evitare che si prostituisse», dice Silvio Berlusconi, autore e interprete delle sue operette. Ha una sua logica: assumere il potere sugli altri significa sottrarli al mondo marcio e cattivo, dove regna il caos. Il motto “Il lavoro rende liberi” era affisso all'entrata del lager, non all'uscita.

Verrebbe da aggiungere che Berlusconi ha pagato Fede per evitare che facesse il giornalista. E Gasparri il politico. E Frattini il ministro. E così via.

mercoledì 30 marzo 2011

Föra da i ball, Grillo dixit

«Io sono di sinistra e anti razzista ma credo che questi non sono affatto disperati, vengono ad invaderci, semplicemente non gli piace la loro casa e gli piace la nostra e se la vogliono prendere». Una riflessione da brivido primaverile che non viene dalla pancia ulcerata di un cittadino lampedusano. No, viene dalla testa di un commentatore del blog di Beppe Grillo. E – provare per credere – rappresenta a meraviglia il tenore generale.

lunedì 28 marzo 2011

Nascita di una nazione

C’è un film del 1915 dal titolo La nascita di una nazione. Narra della guerra civile americana e dei suoi effetti, e sostiene la madre delle tesi razziste: i neri sono inferiori, e dunque solo i bianchi possono esercitare e difendere la giustizia. Come? Inccapucciandosi e dandogli di forcone. Un atto di forza imposto dalla Storia per «osar sognare un giorno dorato dove la guerra bestiale non governerà più». Il film ebbe un grande successo.

martedì 15 marzo 2011

Questo è un paese per Vecchioni (e Jovanotti)

È così arsa, la gola della piazza, che la vittoria sanremese di Roberto Vecchioni ha avuto l'effetto di una pasticca balsamica. Con un brano che si ha come l'impressione di ascoltare da oltre 30 anni, il paroliere di Carate Brianza ha dimostrato alla sinistra in cerca d'autore che il consenso è a portata di mano. Senza spargimenti di sangue e gazebo.
Per marketing o patriottismo, e sospinto dal vento della Giovine Italia di Fazio, Saviano e Benigni, l’autore di Samarcanda concluso il festival si è gettato nel pellegrinaggio obbligato (dentro e fuori la tivvù) della buona retorica.

lunedì 14 febbraio 2011

Il reality che piace a Marchionne

L’economista Jeremy Rifkin lo scrisse nel ‘95, in un noto saggio che è stato adottato e citato dalle destre e sinistre e ultrasinistre di mezzo mondo: “il lavoro è finito”. Sedici anni dopo, il canale più smart della tivvù, La7, realizza un programma che su quell’intuizione mette il suggello: Il contratto (sottotitolo: Gente di talento). In epoca Marchionne il lavoro diventa un montepremi. Niente pacchi, denari e parmacotti. Occupazione. Subordinata e garantita. Un tuffo nel passato, come quando il lavoro c’era.

martedì 18 gennaio 2011

Il comicismo

«Troppi sono oggi i fattori ansiogeni. La mia sarà una tv ottimista». Lo dichiarava Silvio Berlusconi a Camilla Cederna, in un'intervista per L'Espresso. Era il 1977. E la flebo di “ottimismo” che avrebbe condotto un intero paese nelle stanze del “miracolo italiano” cominciava a stillare le prime gocce.
Oggi, 34 anni dopo, a miracolo evaporato e fattori ansiogeni immutati, un comico pugliese, Checco Zalone, realizza il film più proficuo della storia, scalzando dalla classifica, con una pellicola di battute, un'altra comicità, quella di Roberto Benigni. C'è un collegamento tra la promessa di “levità” fatta dall'allora palazzinaro milanese e il grande successo del dispositivo comico di questi anni? Da Drive in ad oggi abbiamo imparato a ridere meglio? Delle battute ne siamo diventati più esperti o solo più dipendenti?

lunedì 10 gennaio 2011

Mattia Pascal è stato arrestato

Lì in California, dove batte sempre il sole, il deputato democratico Joe Simitian (cercate una sua foto in rete, è identico a Bettino Craxi) ha proposto e fatto approvare la Sb 1411, legge (in vigore dallo scorso primo gennaio) che punisce coloro che navigano nei social network sotto mentite spoglie con un’ammenda fino a mille dollari e un anno di reclusione.