lunedì 10 gennaio 2011

Mattia Pascal è stato arrestato

Lì in California, dove batte sempre il sole, il deputato democratico Joe Simitian (cercate una sua foto in rete, è identico a Bettino Craxi) ha proposto e fatto approvare la Sb 1411, legge (in vigore dallo scorso primo gennaio) che punisce coloro che navigano nei social network sotto mentite spoglie con un’ammenda fino a mille dollari e un anno di reclusione.


Sembra che su Facebook e dintorni frotte di persone si divertano ad annunciare bombardamenti sull’Iran fingendosi Sarah Palin, o Julia Roberts e innamoramenti inesistenti, o papa Ratzinger e altre perversioni. O, più in basso, “ex” contro “neo”, “sub” contro “boss”, vipere e avvoltoi. Teatrini, insomma. La novità californiana è che non si distingue tra intento satirico (il culture jamming alla Yes Men ) e intento criminoso. Sarà il giudice a doverlo stabilire. Terrore. Dato per assunto che chiunque ha diritto alla sua privacy, vip o comune mortale che sia, nel caso della Sb 1411 sembrerebbe emergere qualcosa di nuovo.

Vi racconto una storiella. Qualche anno fa, ottobre 2008, in Italia Facebook viveva la sua primavera e io mi finsi per dieci giorni Alessandro Baricco. Lo feci, nell’ordine: per noia, per rompere le scatole e per curiosità professionale. Baricco allora – ma credo ancora oggi – non aveva un suo account. Era strafamoso e dopo aver scritto con I barbari di Google e umanità 2.0 ci stava che si interessasse di reti sociali. Eppoi Facebook è piena di lettori e scrittori e polemisti pronti a sbranare e idolatrare la qualunque. In poche ore Io-Baricco feci più di mille amicizie, ruppi la relazione con una delle “mie” assistenti (che provò con scarsissimo successo a convincere i sodali di bacheca che io fossi un fake) e collezionai un tesoretto di proposte indecenti da parte di “colleghi” (temo, ahimè, veri) che un giorno, dovessi trovarmi in stato di necessità, venderò al miglior offerente sotto forma di dossier.

Dicevo: Io-Baricco. Il mio era furto d’identità. Bello e buono. In California, dunque, finirei dentro (magari a leggere Oceano mare, che mi manca). Qui la legislazione langue (ci ha provato Bruno Vespa, a denunciare un buontempone che gli faceva il verso. Ma la sede legale di Fb è a Palo Alto, e campa cavallo). Ma insomma, la cosa che più mi colpì, a suo tempo, furono i tanti messaggi, pubblici e privati, che mi giungevano dai pretendenti amicizia: «Sei il vero Baricco?», mi chiedevano. Ora, ve lo domando seriamente, non è un gioco alla Bartezzaghi: qual è la risposta giusta?

Su Facebook sei Mario Rossi se di nome fai Mario, di cognome Rossi, e la foto è quella di uno dei Mario Rossi su questa terra. Se sulla bacheca di Io-Baricco fosse venuto il vero Alessandro e avesse scritto: «Io sono il vero Baricco», secondo voi, quante pernacchie avrebbe ricevuto? Non è la vera identità, il problema. Semmai è essere Baricco. Essere qualcuno a cui si può opporre un «non credo che tu sia tu». La risposta che davo agli scettici, dunque, veniva facile: «E tu sei veramente tu?». Vi vorrei far leggere le risposte. La più comune: «Certo, io lo so che sono io».

Per il resto, nulla da eccepire. Io ero un perfetto Alessandro Baricco, scrittore torinese. I miei status erano citazioni dei romanzi. Le mie risposte, colte e garbate. Non ho mai esagerato, in nessun senso, e a coloro che volevano spedirmi manoscritti ho sempre risposto di no (cosa che per me avrebbe fatto anche il “vero” Baricco).

La cosa che più mi colpì, però, fu proprio il nodo del “chi sei veramente?”. L’identità (quella vera, biografica, anagrafica, da “favorisca i documenti…”) cominciava ad essere una condizione necessaria. Dopo anni di infingimenti e anonimato (le nostre prime mail avevano nomi da isola del tesoro: castoro73, lupinterzo, piero24…, e io un po’ diffidavo di coloro che si firmavano con nome e cognome – troppo seriosi), l’articolo uno della metropoli web diventa: «Sii te stesso», e non nel senso flowerpower (torna la California), ma piuttosto del «non fare finta di essere altro». E allora giù, a ridefinire se stessi. Foto, frasi, sesso, bugie e videotape, per un nuovo complicatissimo transumanesimo digitale: bacheche ricolme di contenuti (altrui) per garantire (a se stessi) i confini immanenti dell’individualità. Fiuu, che fatica! Non sarebbe più semplice fingersi Brad Pitt, e citare Dante? Io stesso, per quel che vale, mi divertivo assai di più nell’essere Baricco che nell’impersonare Cappozzo Giorgio. Nulla di più ingombrante, della mia biografia terrestre. Tacere di cose per esaltarne altre. Un lavoraccio.

Andrebbe riletto un libro, Ragioni e persone (Il Saggiatore, 1989), dove il filosofo riduzionista Derek Parfit scrive che «considerando la propria storia non come qualcosa di personale ma come un flusso al quale si appartiene, essa può continuare nel futuro e negli altri». Si intende di Star Trek, Parfit, e di diari di bordo. Di etiche non religiose (e Facebook poggia sul concetto di “chiamata”, ma questo è un altro discorso). Di esìli e fughe e invenzioni. E sovviene ancora una volta quel geniaccio di Pirandello. Quell’Adriano Melis a cui Mattia Pascal affidò il suo nuovo destino. E che oggi un giudice di Santa Monica – sì, è un paradosso, anzi no – spedirebbe in galera a ritrovar se stesso.


pubblicato su Gli Altri

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