lunedì 15 marzo 2010

Aldo Busi, l’amico del diavolo nel palinsesto di Dio

Poi finirà che la Rai, la tivvù di dio, lo riaccoglierà tra le sue ampie braccia. Così è accaduto per Leopoldo Mastelloni, che durante una puntata di Blitz (1984) spedì nell’etere una sonora bestemmia. Così è successo in tempi più recenti al toscano Ceccherini, naufrago imprecatore. Così capiterà, dunque, ad Aldo Busi, strepitoso nel sabotare la diretta con 15 minuti alla “pasquino”. Lo ricorteggeranno per coerenza alla parabola del figliol prodigo. Anteprima ne sia la confessione-assoluzione di badessa Ventura sulla sua web-tv (così come fu per Morgan con don Vespa e con sora Clerici a Sanremo). Ma lui, al lungo codazzo di pallidi scherani col ditino ancora umido di morale, – ne siamo sicuri – farà trombetta.

domenica 14 marzo 2010

Il favoloso mondo di Oreste

Ci vuole pazienza, ma per conoscere bene il personaggio è utile passare per questa dotta citazione: «Proponendo un’antropologia sociale alternativa, Henri Lefebvre ha sostenuto la necessità di affrancare la quotidianità dal ruolo che essa svolge nel capitalismo, dove serve soltanto a riprodurre le caratteristiche imposte alla vita collettiva da parte della classe dominante. L’abitudine è una sorta di deposito sotterraneo all’interno del quale si sedimentano le convenzioni e le menzogne del potere, è qui che si trova la barriera che impedisce alla fantasia e all’inventiva individuali di trovare le vie per una propria espressione autonoma». Terni non è una bella città. E se ci nasci, e Oreste Scalzone lo nacque 63 anni fa, misuri più di altri il “deposito” abbrutente delle menzogne. Per questo, quando il cugino Claudio Petruccioli, ex presidente Rai, gli mostrò per la prima volta (anno 1959) i testi del filosofo francese, gli occhi di Oreste dodicenne si illuminarono d’immenso: una vita oltre Terni era possibile. Quel corpo così delicato si raddrizzò nell’orgoglio, i polmoni affaticati dalla nascita si riempirono di parole cantate, i pugni tante ossa e poca carne iniziarono a serrarsi. La metamorfosi si compì: Oreste, figlio di Giuseppe ed Eugenia Scalzone, era pronto alla guerra, e a divenire uno degli “imprescindibili” della contestazione italiana. (Per i critici, appare ora chiaro che buona parte della responsabilità di ciò che è accaduto nel paese dal ‘68 in poi è da addebitare a Claudio Petruccioli, ex presidente Rai).

Ma il favoloso mondo di Oreste Scalzone, se lo si volesse rappresentare, non avrebbe le scenografie delle insorgenze popolari, né le coreografie dei moti urbani. Avrebbe il profilo di una fisarmonica modello rosso rubino a 120 bassi e tasti ridotti. Un coro di ance raccolte in un solo aggeggio. Una piccola orchestra a tracolla, perfetta per i condannati al viaggio. Come lo slittino Rosebud, la cui perdita spinse citizen Kane a divorare il mondo, anche l’organetto di Oreste fu un regalo d’infanzia. Tradito dalla politica, ha passato 30 anni chiuso in un baule, per poi ricicciare a Parigi, e lì riabbracciare il corpo segaligno del suo primo padrone. «Me la regalò mio padre Giuseppe».