Passeggiando per i teatri imperiali di Leningrado, lo slavista Angelo Maria Ripellino, con lo sguardo rivolto ai grandi arazzi rubini adagiati su stucchi e ritratti di maestri di scena, domandava: «Majakovskij, Mejerchol'd, Ejzenštejn, dove siete finiti?». All'eroico (ed erotico) trio della rivoluzione maiuscola, lo scrittore si appellava con lo stesso incanto che diffondeva camminando per i corridoi dell'università romana, quando in faccia ai muri e ai tordi, citando il Vladimir, urlava «Parrucchiere, mi pettini le orecchie!». Incanto sì, in Ripellino, ma anche tanta troppa mestizia c'era in quell'appello inascoltato, per l'opacità che andava divorando il tempo suo e quello a venire. Era la fine degli anni Cinquanta, e «lo stalinismo già volpeggiava negli arcani casamenti di Kafka».
Quei fantasmi aleggiano ancora intorno ai nostri corpi senza casacca. Mai le stanze dei nostri teatri sono state più vuote. Noi che senza fantasia prendiamo atto di aver introiettata alcuna tecnica se non quella del disordine. Chiedere a voce alta dove sia finito Mejerchol'd porta con sé la commozione per ogni solitudine. Da Antigone a Cristo, dai contadini del 1905 al cittadino leale e oppresso di Gotham City, che guardando l'ultimo spicchio di cielo libero da nubi implora: «Batman, Batman, dove sei finito?».
È di super eroi, sempre, che abbiamo bisogno. Di umanità colorata e accessoriata, che sappia spezzare come fosse una sottile canna di bambù il tormento a cui i cattivoni impenitenti e potenti ci hanno condannati. Di carità disinteressata, tanto veloce ad agire quanto, un minuto dopo, a scomparire. Io non voglio un Dio a liberarmi dalle catene dell'inquietudine, perché troppo mi verrebbe chiesto in cambio. Non voglio una guerra, sebbene rivoluzionaria, a riscattare le ingiustizie che affliggono metropoli e campagne, perché il suo clamore ne moltiplicherebbe il numero. Voglio Superman, Spiderman, Wonderwoman.
Vorrei Majakovskij, per esempio. Quello pensato, disegnato e raccontato da Pablo Echaurren nel 1986 per le edizioni Serraglio di Francesco De Gregori e ripubblicato oggi (ha ascoltato i nostri richiami) per la Gallucci (pp.53, 14,90 euro). Copertina argento riflettente e introduzione di Vincenzo Mollica.
Con i pennarelli e le matite di Echaurren, artista bassista grafico e futurista, il poeta georgiano si trasforma in un corpo sonante, naso vibrante, proletario volante col capello brillantinato e un «enorme mantello di erudizione». Geometrie costruttiviste, lazzi marinettiani, invenzioni d'avanguardia che nel tempo di una graphic novel tra le più godibili, facendosi largo tra evocazioni graffitare e bizantinismi, accerchia il Nostro, gli punta il Segno e le Calligrafie negli occhi, i Simboli di un secolo che incarna tra le belle cose la più orribile: lo sterminio della libertà. Il fumetto di Echaurren esprime a un livello così denso di cultura da farne quasi un manuale tutta la tensione tra la Storia (con i suoi fallimenti titanici) e le biografie alte altissime che ha divorato. Le veementi pagine di questo libro riflettente sono la cronaca fedele (fedele nella forma) di una vita futurista, dell'assalto alla scrittura, della guerra di liberazione dei vocabolari, perché «in noi già palpita il lampo della nuova bellezza della parola autosufficiente».
A bordo di un ottovolante si dipana la vita come dovrebbe essere: l'esordio nel manifesto «Schiaffo al gusto del pubblico», la fondazione del Fronte di sinistra delle arti, la militanza nel partito, i poemi, il mistero-buffonata, Berlino, Parigi, la morte di Lenin.
«Si prendono i classici, se ne fa un rotolo e si passano nel tritacarne». Echaurren applica alla lettera il giuramento di Majakovskij. Ne cancella ogni tratto di “classicume”, soffia via sprezzante le ragnatele di coloro che ne lodano la “pazzia”. Ma cosa, ma quale, ma dove? Majakovskij è un super eroe, non appartiene a nessun magazzino, ad alcuna memoria vergata, ad alcuna pace dei sensi. La forza dei super eroi sta nel venire dal futuro per vivere il presente. Una trazione piena di vita e ormoni che Echaurren, tra i pochi artigiani capaci di trasformare mattoni da biblioteca in coriandoli, popola di riferimenti artistici e paesaggi mentali, su un basso continuo di colori e fracassi visivi. Il riverbero di queste pagine, reali concrete vere accadute ripetibili, una volta chiuse e riposte, eleva la nostra domanda verso l'unico angolo di cielo libero da nubi: «Majakovskij, dove sei finito?».
p.s. Scriveva Vladimir alla sua amata: «Lilja! Iniettami sangue nelle vene/ficcami idee nel cranio/non ho vissuto fino in fondo la mia esistenza terrena sulla Terra/non ho avuto tutto il mio amore/Resuscitami nel trentesimo secolo!». Sì, addavenì Majakovskij!
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