Dopo aver brindato alla vittoria della “sua” Emma, Maria De Filippi ha prontamente annunciato di voler realizzare un «sanremino» sulle reti del biscione. Quell'-ino sa un po' di rivincita e un po' di presa per il culo. Ma lei può, e non solo perché da anni fornisce ai due poli gli ingredienti migliori da cui cavare numeri e denari, ma perché la forza di questa signora nata a Milano 51 anni fa, laureata in giurisprudenza, con un marito che è ormai "il marito della De Filippi" (Costanzo lo conobbe nell'89, pensate, durante un convegno contro la pirateria), piacente e austera, erre moscia e voce graffiata e mentina in bocca come fosse un intercalare, occhiali e tacco dodici e nulla a che vedere con le euforiche nevrosi delle sue colleghe, la forza di Maria, dicevamo, sta nel fatto che lei, negli anni, ha prodotto ben più che format di successo, ma, semmai, un grandioso, adorabile, detestabile racconto collettivo. Così andrebbero considerate le sue creature, Amici, Uomini e donne e C'è posta per te: come una saga, una guerra stellare del quotidiano, una trilogia of life.
Non c'è nulla di casuale nel suo pensiero televisivo. Stando alla felice intuizione del filosofo Salvatore Patriarca (leggete il suo bel Il Mistero di Maria, Mimesis, pp 106, 12 euro) De Filippi, attraverso tre passaggi cruciali, legati ai programmi sopracitati (la formazione, la competizione e la riconciliazione), compone in un quadro unitario la parabola dell'identità soggettiva e collettiva. In Amici gruppi di giovani battagliano su arti varie per far emergere il proprio talento e aggiudicarsi un'incisione, la parte in un film, la scrittura in un corpo da ballo. Smistati tra camerate e palchi, i ragazzi passano le loro giornate in una esibizione a ciclo continuo, che dia conto non solo delle tecniche apprese ma anche della loro "maturità". Dietro le cattedre, "tutori" riconosciuti più dagli spalti dello show che dai salotti, correggono e suggeriscono (per un periodo fu insegnante di letteratura Aldo Busi, per dire). Messi in tasca limiti, pugni e aspirazioni, i personaggi del racconto approdano al capitolo della “competizione”, non solo amorosa. In Uomini e donne i tronisti (neologismo riconosciuto anche dalla Crusca) e le corteggiatrici realizzano gustosissimi siparietti (per quanto rigidamente etero), con l'obiettivo – per mezzo di sguardi, risse, furberie dialettiche, volgarissimi ammiccamenti – di definire un “modello”. Tra Rodolfo Valentino e Costantino Vitaliano, divo di Maria e già fiore all'occhiello di Lele Mora, non c'è solo una vaga assonanza. Entrambi, "muti latin lover", hanno dettato legge su come pettinarsi, vestirsi e assumere quell'espressione lì. Insomma, come diventare uomini che conquistano le donne (e viceversa). Appreso questo, si è ben oltre il mezzo del cammin dell'adultità. Nella terza età della parabola di Maria, dopo aver lasciato nei camerini più sconfitti che vincitori, più delusioni che allori, giunge il momento della riconciliazione e del perdono. L'intera comunità assiste con pena, in C'è posta per te, al proprio film: le vecchie ruggini, i silenzi durati anni, le incomprensioni, gli egoismi, le dolorosissime distrazioni. Se nei programmi precedenti i gesti più consueti erano stati le urla e le moine, in C'è posta per te domina il rito dell'abbraccio e del pianto. Una liturgia che conclude nel modo più degno, disponendo la sceneggiatura a nuovi cominciamenti, la trilogia di Maria. Andate in pace. Nell'odissea mariana, De Filippi è una voce fuori campo. Non sbraccia, non ulula, non chiede le telecamere solo per sé. Maria è svincolata dal predominio assoluto dell'immagine – caso unico – a favore di una relazione basata sul dialogo. Maria domanda, chiede, rimprovera, argomenta, consiglia, comprende. Con la sua voce (che sta al personaggio come la emme arcata ai fast food) cerca di infondere all'imberbe di Amici, al toro da monta di UeD e al papà redivivo di C'è posta per te lo stesso sentimento: autorevolezza morale. È mamma, sorella maggiore, nonna e saggia amica. Maria è il potere che garantisce il passaggio attraverso i tre gradi di giudizio, salvandoci dal caos. Un potere non autoritario che dosa “divinamente” l'irruzione sulla scena. Con queste virtù la ragazza che voleva fare il magistrato (e che venne bocciata) è riuscita a costruire la “televisione totale”, che non è quella dei palinsesti on demand e dei mille canali, né i reality più tradizionali, ma il racconto nudo, spietato, volgare di ciò che siamo. Certo, è lei che decide cosa e chi mettere in partitura, ma non è difficile credere che ogni suono origini dal vero, che, sinfonia o stonatura, siano quelle persone lì a eseguire le proprie aspirazioni, dolori e infingardaggini (Busi lo aveva capito). Quando Aldo Grasso, facendosi latore di un sentimento diffuso, definisce De Filippi «burattinaio dei poveri cristi», suo malgrado non critica tanto la conduttrice (ogni autore, regista, coordinatore di qualcosa appare burattinaio), quanto i poveri cristi, “colpevoli” di abusare, con il loro chiasso, dello schermo pubblico. Ma è proprio la vitalità esuberante e cafona dei suoi personaggi, ad esaudire il progetto televisivo di Maria: scrivere, non in prosa non in versi ma in palinsesti, il grande romanzo popolare del nostro Paese. I Buddenbrook, per dire. Storia di una nazione in declino.
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