giovedì 15 marzo 2012

La sigaretta rende le persone migliori
(La versione di Marcenaro)

Ho una mia teoria, sul perché “fumare” urti tanto gli altri: non è per l’odore, la coltre, la nicotina che nuoce o la gestualità un po’ di maniera, che il tabagista gode di pessima nomea. Ciò che taglia il mondo più delle ideologie sta nella relazione intima tra il fumare e il respirare. Le sigarette danno forma e sostanza al respiro, così impalpabile e vitale, conferendogli la capacità di avvolgere i corpi altrui. È il test di misantropia più fedele che si possa esperire: o si amano gli altri o si odiano i tabagisti. Non ci sono vie di mezzo. Mi pare di capire che Andrea Marcenaro sia, magari partendo da altre premesse, d’accordo con questa lettura. Marcenaro è l’autore di quella perla quotidiana, “Andrea’s Version”, con cui Il Foglio invita alla lettura. E confida un incidente di percorso che i maschi fumatori più avvezzi hanno provato tante volte: «Stamattina mi sono acceso la prima mentre stavo in bagno. Buttando la cicca nella tazza mi sono bruciato una palla. Stretto nel dolore come Fantozzi mi sono fiondato sul bidet e ho aperto il rubinetto che credevo amico, investendo la palla di acqua rovente».

L’altra palla o la stessa? 
La stessa. Ma non lo scrivere.
Le sigarette possono essere invadenti…
No, non lo sono mai. Sono coloro che pretendono che tu smetta, ad essere terribilmente invadenti. E sappiano, lorsignori, che se una loro vittima smette di fumare è per disperazione, per zittirli, per chiuderli nel loro compiacimento.
Lei smetterà?
Non lo so. Ma il guaio è che se smetti ti ritrovi con un sacco di tempo libero. Avessi vent’anni saprei come impegnarlo, ma all’età mia che diavolo faccio? Secondo motivo per cui continuo a militare: ci sono vizi e vizi. Il mio, d’accordo, è quello di guastarmi la salute. Ma vuoi mettere quello di un Curzio Maltese o un Michele Serra di insegnare a vivere agli altri? I Pm della vita. Io ho il fiato corto, ma ci pensi al loro stato d’ansia? Dovrebbero scrivere su Repubblica: nuoce gravemente alla salute tua e di chi ci lavora.
A quale età la prima aspirata?
Avevo 13 anni. Alternavo Stop e Nazionali. E siccome quei debosciati dei miei genitori pretendevano che io facessi tutto in anticipo – primina elementare, uscire con gli amici di mio fratello, eccetera – e visto che non mi cresceva la barba ma solo i baffi, per darmi un tono cominciai a comprare, bada bene, non le sigarette sfuse, ma i pacchetti. Unii cioè al gusto del fumo quello di possedere un pacchetto intero, segno incontrovertibile di adultità, di progresso.
Da grande?
Durante gli anni di Lotta continua le giornate duravano 22 ore. Dormivamo pochissimo. Credo di aver fumato l’impossibile. Poi con l’età accade come con l’insalata, che come dice il mio amico Giuliano (Ferrara, ndr) è tempo perso, ma se il tuo organismo la chiede, tu cedi. E il mio corpo oggi chiede di dosare le sigarette. È un po’ stronzo da parte sua, ma credo che l’abilità sia nel concedergli qualcosa. Mai smesso? 
Nel ‘99 sono stato in coma. Appena sveglio ricominciai con gusto. Stavo ancora in clinica. Le monache mi volevano bene. Poi, qualche tempo dopo, ho interrotto per un paio d’anni.
Prudenza? 
No, narcisismo. Afflitto dai continui rimproveri, smisi. Dal giorno alla notte. Tutti iniziarono a lodarmi. «Quanto sei bravo!». Il narcisismo prese il posto della nicotina. Ma non durò. Il tabagismo è per sempre, per fortuna. Mi aiutarono i miei medici.
A fare cosa?
A ricominciare. Sono due bravissimi professionisti e splendide persone. Comprendono il valore di una fumata.
Che sarebbe?
Temprare la propria generosità.
Questa è bellissima, però la spieghi, gentilmente.
Chi ama fumare, ama nutrire. Ama la compagnia e la vita sociale. La vanità del fumatore è positiva, magnanime, munifica. Mai autoreferenziale, come invece è lo scassaballe anti-tabagista.
In quali fumatori riconosce queste doti?
In Craxi, per esempio. Fumava quelle al mentolo. A Pannella, ovviamente. A Ferrara. E al più elegante: il giornalista e politico Lino Jannuzzi. Gran fumatore di sigari cubani.
Ecco, quale differenza corre tra la sigaretta e il sigaro?
La prima è vitale ma nevrotica. Il sigaro è degli avventurosi, dei gran signori (o dei ciarlatani, ma quelli si vedono subito). Per fumare un sigaro devi essere in grado di dosare te stesso, di non aspirare. Impossibile, ad edempio, per un sigarettaro come me.
Come accolse la legge anti-fumo?
Come una diretta evoluzione di quella che proibì le sigarette nei cinema.
Ossia?
Smettendo di andare al cinema.
Senza eccezioni?
Tornai una sola volta, a vedere “Master & Commander”. La foga antifrancese di quel film mi corroborò il fisico quanto le sigarette che in quell’ora e mezza non fumai.

1 commento:

  1. "Chi ama fumare, ama nutrire. Ama la compagnia e la vita sociale. La vanità del fumatore è positiva, magnanime, munifica. Mai autoreferenziale, come invece è lo scassaballe anti-tabagista".

    Articolo che posterò sulla mia pagina FB ogni settimana. perché io sono la più scassaballe antitabagista che ci sia, e l'altra me vorrebbe stare un po' in pace con le sue sigarette. Contro tendenza a metà tra una pièce teatrale e una tribuna politica in bianco e nero. merci.

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