martedì 18 ottobre 2011

Padroni.com


Con Shuva ho un contenzioso aperto. Qualche anno fa mi ha sfilato da sotto gli occhi cinque lavori. Piccoli servizi di grafica per una grossa società inglese. Io e l’indiano avevamo pubblicato il curriculum sul sito Odesk, specializzato nel job on line. Buona conoscenza dei principali software di editing, fotoritocco, montaggio e varie ed eventuali. Una bella fotina sorridente, e la garanzia di prestazioni perfette. Il giochetto è antico come il mondo. Chi presenta la soluzione migliore – soldi e tempo – vince. La prima volta si trattò di montare un video di 30 secondi usando una serie di 10 foto, e titolarlo. Io pensai: alle quattro c’è la bimba, alle cinque la piscina, alle sette quell’appuntamento lì... in due giorni posso farcela. Tariffa? Restiamo bassi: 100 euro. Manco il tempo di digitare il pacchetto, che Shuva l’infame già sorrideva. Tre ore di lavoro per 15 euro. Non ci fu partita, chiaramente. E così per altre quattro volte.

Hai voglia a dire lavoro immateriale. Con quel bel corredo di previdenze diritti famiglie risparmi e fine settimana (tutto sacrosanto), pesiamo – noi – quanto un arnese metallurgico. Mentre a Shuva, chi lo ferma? che è così leggero da essere invisibile? Non certo quegli inglesi, che se lo mangerebbero di baci. Per cui, io sono tornato a cacciar raccomandazioni, e ho lasciato che sul sito si scannassero indiani, cinesi, brasiliani e qualche americano.

L’errore è stato mio. Mi sono presentato come un prestatore d’opera. Peccato veniale. Da suicida. Quello che nei nuovi mondi si chiama job on line, qui si definisce come self-employment. Lì prestazione, qui le idee. Lì velocità d’esecuzione, qui think different, di cui il compianto Jobs fu maestro.

Il termine chiave è wwworkers, e poggia su un’ideologia semplice e diretta: abbandona il posto fisso e trasforma la tua passione in un lavoro online (è anche il titolo di un libro molto informato di Giampaolo Colletti per Gruppo24Ore). Scròstati da quella sedia (se ce l’hai – ma in Italia i “seduti” sono ancora la maggioranza), esci dalla banca ministero azienda e affronta il destino che meriti. Organizza matrimoni, fai di te un personal shopper, vendi marmellate agli argentini, apri un’agenzia di dog-sitting o un forum per consulenze giuridiche, rifila buste biologiche ai cinesi. La tesi è che il futuro (già presentissimo) è delocalizzazione, motori di ricerca, social networking, strumenti per abbattere i costi e aumentare le specializzazioni. E quale migliore occasione per riscattare gli anni buttati a riscaldare il “posto fisso” se non quella di fare ciò che si ama, e di farlo dal tinello di casa propria?

Secondo Bill Gates il lavoro in rete, entro il 2015, occuperà il novanta percento del mercato. Bisogna solo impegnarsi, e prendere il treno giusto. Quello dell’occhialuto ragazzo gli fu offerto dall’associazione delle mamme della Lakeside Academy: acquistarono un computer – era il 1968 – e gli permisero di usarlo giorno e notte. Lui anni dopo fece i miliardi, ma in generale un world wide workers può vantare un reddito medio – dicono gli studi di settore – che va dai 1500 ai 3mila euro. Non tantissimo, per una partita Iva. Ma vuoi mettere la libertà, dicono?

Ora, sarà pure vero che lavorare ogni giorno in uno stesso luogo, compiere le stesse mansioni, incontrare le medesime persone, può essere fonte di depressione. Ma il patto che la Rete impone non è neutrale e senza conseguenze. È una stretta di mano su cui campeggia una parolina insidiosissima, come le zanzare in piena notte: “idea”. Bisogna avere un’idea. L’idea, articolo determinativo. Occorre fare prima di altri ciò che gli altri vorrebbero fare prima di te. È opportuno farlo meglio. E non serve avere solo l’idea, ma anche socializzarla, articolarla, potenziarla e linkarla. E tutto questo, per cortesia, velocemente assai, ché gli altri sono in agguato con un’idea che è meglio di quella che avete appena avuto. Non so voi, ma io ho la sudarella.

Le idee – senza citare i poeti – necessitano di spazio, aria e tempi lunghi. Svolazzano come uccellini in cielo aperto. E solo quando vogliono loro, e se vogliono, si posano sulla tua spalla. Tu ti devi solo far trovare, rilassato e ben intenzionato. Se invece hai l’aria nevrotica e cammini su e giù in cerca dell’idea, l’uccellino si incazza e vola via. Verso altre spalle. Di solito funziona così. Per questo, forse, i lavori più diffusi sono quelli di cura, compiuti da wwworker donne oltre i 50 anni (sono il 70% del totale). Mamme e nonne, quasi mai esperte di informatica, con una buona dose di fantasia e di coraggio e una maggiore attitudine al valore sociale della rete. Spesso precipitate nel favoloso mondo del mouse a seguito di una cassa integrazione o contratti non rinnovati. Certo, meglio reinventarsi che dissolversi nel lamento o nella sola indignazione.

Ma per questo e un motivo, la bandiera del think different andrebbe oggi, più che mai, avvolta intorno all’asta di un nuovo welfare, che prevedesse un reddito garantito e indipendente dal lavoro, sostegni economici che laverebbero via la tanta retorica da America anni 80 che permea la Rete, riconoscendole il giusto ruolo che da qui a venire ricoprirà nel mondo del lavoro. Un ruolo che si vorrebbe libero e giusto, e non minacciato dallo spettro che si aggira per il web: il totalitarismo delle idee.

p.s. Shuva l’indiano al tempo aveva 15 anni.

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