mercoledì 14 dicembre 2011
Pd, il tecno-segretario e quella voglia di congresso…
Beccatevi la citazione: «L'aspetto totalizzante della tecnica va a costituire l'orizzonte ontologico entro cui qualsiasi azione, anche rivolta contro la tecnica, non può mai porsi comunque del tutto al di fuori di essa» (Emanuele Severino). Insomma, di fronte al governo Monti, l'umano Bersani non può nulla. Nulla sul fronte interno – del partito può solo limitarsi ad amministrarne l'attitudine al correntismo, e nulla su quello esterno: revocare l'appoggio all'esecutivo? Ma siam pazzi? Una sola battuta in commedia, dunque, gli è concessa: «Il Pd è unito». Ripetuto allo sfinimento, suo e degli astanti.
Non è vero. Il partito non è mai stato tanto disunito e lacerato. E l'uscita dal berlusconismo, più che infondere adrenalina, ha magnificato l'inadeguatezza del Pd per la sfida di governo, incastrandolo nell'“orizzonte ontologico” di cui sopra e nella frenetica attesa di un congresso che sciolga i nodi più profondi. A cominciare da quale riforma del lavoro sposare. Sebbene lo statuto dei Democratici preveda il congresso per l’autunno 2013, da più parti sale l’invito ad anticiparne la data di un anno. L’assise, stando ai bollettini del Nazareno, sarebbe così prevista per l’ottobre 2012, in abbondante anticipo sulle elezioni venture, alle quali bisognerebbe presentarsi con un abito, se non firmato, almeno stiracchiato. Ad oggi i toni dei due schieramenti principali – i sinistri laburisti e i destri ichiniani – lungi dal perseguire armonia. Unghie infuori e sibilanti, si spediscono carognate d’ogni foggia.
Matteo Orfini, sinistro: «Se continua questo clima interno, se una parte del partito ritiene che il voto di fiducia a Monti equivalga a un congresso e che quindi il Pd debba cambiare linea, per tornare magari allo spirito del Lingotto, ecco è meglio fare chiarezza con un congresso vero, così scacciamo definitivamente certi fantasmi». Ivan Scalfarotto, destro: «In molti dicono che il tema è prematuro, che la priorità ora è il salvataggio dell’Euro e l’uscita dell’Italia dalla crisi, ma tutti, nel Pd, ammettono che dopo questa fase di transizione di un anno e mezzo nulla sarà più come prima. E che quindi prima delle prossime elezioni politiche servirà un momento di riflessione politica, programmatica, organizzativa».
Questo è l’andazzo. Con un’agenda del lavori dettata più dal presenzialismo mediatico di Pietro Ichino (un tecnico in tempo di tecnocrazia gongola) che dagli equilibrismi di Bersani. D’intorno fioriscono le carezzevoli nenie dei convitati. Casini corteggia Matteo Renzi. «Abbiamo bisogno di ragazzi come te» e Futuro e Libertà il giuslavorista (già oggetto delle avances di Berlusconi. Ma era il 1998 e la memoria scade): «Proponiamo al professor Ichino di liberarsi dall’immobilismo del Pd e di lavorare con noi».
Bigliettini odorosi che i liberal sventolano allegramente sotto il naso di Bersani, costretto a difendere il ribelle Fassina, da sempre critico con la Bce e bersaglio dei destri, pur di preservare se stesso. «Inutile scagliarsi contro Fassina. Le sue idee – dice il segretario - sono le stesse di Obama. Sono idee liberali». Risposta tecnicamente perfetta. Ma presaga di un inverno colmo di scontento.
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