
Il nuovo corso ha inoculato linfa negli animi della minoranza liberal del partito, che vede nel governo delle lobby l'occasione storica per realizzare l'agognato blairismo tricolore, e nella sinistra del partito il fumo da diradare. In fondo, quale migliore chance per spostare il Pd a destra se non quella di un governo tecnocratico e un partito commissariato da Napolitano? Veltroni e Morando "il migliorista" lo sanno, e gongolano. I giovani militantiliberal rilanciano con zelo, dalla rivista on line Qualcosa di riformista, la richiesta ai vertici del partito di spedire l'economista Stefano Fassina, bocconiano laburista e braccio economico di Bersani, in Corea del Nord quale viaggio premio.
Qual è la colpa di Fassina? Aver sostenuto «che Ichino propone queste riforme soltanto a titolo esclusivamente personale, questa non è la linea del Pd. Sono solo proposte ideologiche dannose ai fini della crescita, finalizzate a indebolire i sindacati e a ridurre il potere contrattuale dei lavoratori, le retribuzioni e le condizioni di lavoro di padri e figli».
Fassina, che abbiamo sentito al telefono, pur facendo precedere ogni risposta con il mantra «Il partito è unito nel sostegno al nuovo governo», conferma alcune sue storiche convinzioni: «Da questa crisi di esce solo con equità. Ed equità significa far pagare chi non ha mai pagato. A cominciare dagli evasori. Lavoratori e intermittenti hanno già versato lacrime e sangue. Prima di parlare di flessibilità bisognerà evitare in ogni modo di rendere i licenziamenti facili. Come abbiamo discusso nella scorsa assemblea del lavoro (giugno a Genova, ndr) la nostra idea diflexsecurity poggia sul contrasto della precarietà attraverso una riforma del sistema di ammortizzatori sociali e l'eliminazione delle convenienze economiche dei contratti atipici». Comunista, è l'apostrofo d'antan.
A dar man forte alle tesi di Fassina, un altro giovane bersaniano di futura fama, Matteo Orfini, responsabile cultura, che durante il toto ministri aveva puntualizzato: «La nomina di Ichino al dicastero del Lavoro verrà letta dal Pd come una vera e propria provocazione». Efficace, l'intervento di Orfini, stando agli esiti, ma detonante per l'umore dei riformisti. Prima sul quotidiano Europa, poi sulle bacheche di molta Rete, è esploso lo sdegno. «Ricordo ai corti di mente che Ichino – hanno scritto sulla sua pagina Facebook – è gia stato preso di mira dalle Brigate rosse e vive costantemente sotto scorta. Le parole di Fassina e di Orfini, sono benzina sul fuoco. Tarantelli, D'Antona e Biagi furono oggetto di attacchi verbali altrettanto gravi e sappiamo com'è finita». Non pochi gli applausi a questo delirio.
Colpiti nel segno, i “moderati” tirano fuori il peggiore armamentario, di vecchia scuola. Scrive Ivan Scalfarotto sul suo sito: «Isolare Ichino dal partito è stata una mossa veramente vergognosa e male ha fatto lo stato maggiore del partito a non dissociarsi immediatamente e vistosamente dalle inavvertite parole del responsabile cultura». Isolare? L'allusione al terrorismo torna ad essere lo spauracchio dei deboli d'argomento. Come ai tempi di Scajola e di Sacconi. O di Stalin. «La minoranza morandiana – ci dice Orfini – è convinta di aver votato non il governo Monti ma il congresso del Pd. I loro attacchi hanno poco senso perché non hanno consenso».
Sarà. Ma la richiesta di dimissioni di Fassina avanzata da Bianco e soci ha avuto ampia eco. E sdegni poco convinti. A cominciare da quello del segretario. Che avrà dalla sua pure le votazioni per alzata di mano, ma sente in faccia la tramontana del momento: il Pd schiacciato su un governo tecnicamente di destra e con i movimenti inibiti dal guinzaglio dell'emergenza. Sarebbe il caso, come propone qualcuno, di anticipare un congresso, e chiarire una volta per tutte cosa sia questo benedetto coacervo democratico? Oppure ciò a cui assistiamo sono solo le ultime scosse di un corpo senza vita chiamato Pd, concime della nuova destra?
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