«Ieri, lunedì 30 maggio 2011, verso le quattro del pomeriggio, sono finiti per sempre gli anni Ottanta italiani, il decennio più lungo della storia del mondo. È finita la politica del cerone e delle facce rifatte, delle convention, delle escort, delle olgettine, degli spot, della tivù dei telegatti e delle cerimonie di corte, dell’edonismo fintoallegro, dell’ignoranza caciarona spacciata per genuinità popolare (ingannando atrocemente il popolo). È finita la fiction». (continua qui)
Massimo Gramellini ha scritto questo:
«Ieri in Italia sono finiti gli Anni Ottanta. Raramente nella storia umana un decennio era durato così a lungo. [...] Nacquero come reazione alla violenza politica e ai deliri dell’ideologia comunista. L’individuo prese il posto del collettivo, il privato del pubblico, il giubbotto dell’eskimo, la discoteca dell’assemblea, il divertimento dell’impegno. La tv commerciale – luccicante, perbenista e trasgressiva, ma soprattutto volgarmente liberatoria – ne divenne il simbolo, Milano la capitale e Silvio Berlusconi l’icona, l’utopia realizzata». (continua qui)
C'è del vero. Ma il loro punto di vista è di chi, cresciuto nel decennio precedente, guarda agli Ottanta come riflusso, abbrutimento, tradimento dei gloriosi e militantissimi Settanta.
Il punto di vista di chi invece quegli anni li ha vissuti da ragazzino, la generazione che Nicola Lagioia e Antonio Scurati definiscono "senza trauma", scorge un profilo diverso, meno spietato. In qualche caso, addirittura vitale.
Mi fermo qui. Ho ritrovato questo frammento dalla cronaca di Vermicino. Vale più di molto.
Ecco, veniamo dal fallimento di Mazinga.
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