lunedì 26 settembre 2011

La politica e l'arte dello Shibari

Foto didascaliche, disegni tecnici e glossari nippo-ciociari. Da ogni dove le migliaia di commentatori italiani alle prese con le insidie pruriginose della cronaca, dopo essersi edotti nei templi web del sadomaso, possono finalmente esclamare con compiaciuta sicumera e altrettanto sdegno: «Bondage!». Una parte dirà bondasc, che fa più marchese De Sade, l’altra azzeccherà la pronuncia anglofona. Ma il sottinteso è lo stesso: che perversione, che aberrazione. Che modo ripugnante di vivere la sessualità! Eppure, pur ignorandone tradizione e tecniche, dolori e piaceri, l’arte della legatura, dell’incappuccio, del bavaglio o più in generale dell'impedimento alla libertà fisica, di muoversi, di vedere, di parlare, di sentire, potrebbe essere letta, dopo la poesia e la navigazione, come uno dei tratti più marcati della storia italica. Una metafora capillare di una patria che schiava di Roma Iddio la creò. Di un’Italia, non a caso, a forma di stivale. Di lattice. Tacco 12.


Cresciuti nel coro di “voci imbavagliate”, “politici dalle mani legate”, “economie soffocate”, “riprese asfittiche” e “categorie strangolate”, abbiamo trasformato le buone parole – lavoro, diritti, progresso –in feticci da adorare, e concesso a Palazzi e prelati il privilegio di essere maestri universali, con corde, manette, lavande per i piedi e cilici ben collaudati. E poche figure rispecchiano la cultura bondage quanto quelle dei notabili incappucciati per devozione massonica.


Ora, la politica ha adottato l’arte dei nodi per vicende più innocue, se non addirittura nobili. Nel maggio 1978 Emma Bonino apparve imbavagliata, insieme a Pannella, in una tribuna televisiva per denunciare la censura Rai. Per la prima volta il corpo shibari (e per giunta libertario-socialista-riformista-pacifista) irrompeva sulla scena, consegnando ai militanti radicali la palma dei più “perversi”. Fama che verrà confermata dalle candidature a venire (Cicciolina e Toni Negri su tutte) e dall’umiliazione del corpo affamato. Ma la virtù di Pannella e soci era ed è una qual certa possibilità di manovra. Un piccolo partito in grado di divincolarsi dai lacci delle alleanze. Come la Lega Nord di Bossi, che non a caso Guzzanti Corrado parodiava trattenuto da una camicia di forza. Formazioni agili e asciutte se paragonate a quelle sovrappeso ed elefantiache dell’allora Partito comunista, incatenato a doppia mandata alle sorti dell’Unione sovietica, o all’altro di medesima stazza, la Dc, imbrigliata dalle sapienti mani del Conclave.


Era il 1986, e Asor Rosa scriveva: «Il Pci è pesante e lento, e immobilizzato tra chi cerca soluzioni riformistiche e chi progetta lafuoriuscita dal capitalismo e dalla Nato». E dieci anni dopo, sempre a sinistra, Bertinotti avvertiva: «La Cgil è diventata subalterna a coloro che hanno imposto sacrifici ai lavoratori. Con la “concertazione” il sindacato si è legato mani e piedi». Quanto masochismo, signori miei. Governo Andreotti paralizzato, l’iniziativa socialista atrofizzata, riformatori incatenati dagli estremisti, imprenditori schiacciati dal consociativismo. E così, a ciclo continuo. Fino ad aprire le porte della scena sadomaso a nuove schiavitù. Il Sud, aggiogato dal taglio indiscriminato delle finanze ordinarie. I precari, che rischiano di venire soffocati dalla mancanza di proposte. I riformisti, che si devono guardare da una sinistra radicale avvezza a tirare troppo la corda. La società civile, umiliata dalla criminalità organizzata, e le piccole imprese, calpestate dalla globalizzazione senza limiti. E per finire, l’informazione, la slave che più si presta ad essere imbrigliata dal suo padrone. (frasi rubate da dichiarazioni di politici vari, da Bettino Craxi a Rosi Bindi, da Nichi Vendola a Marco Follini).


Ci fu un tempo, quello di Mani pulite, in cui l’accessorio principe del bdsm, le manette, col suo tintinnàr piegò l’intera classe politica al rango di sub. Braccia dietro le spalle e capo chino su colpe vere o presunte. Anche per questa overdose di punizioni le elezioni del ’94, quelle della “rinascita” dei moderati, videro un uso indiscriminato della tortura più lieve nella prolifica famiglia sadomaso: il tickling, il solletico, adorabile supplizio. «Il Ccd contro di noi? Ci fa solo un gran bel solletico», disse Bossi. «Lo sciopero dei giornalisti? Puro solletico pergli editori», Feltri, sottintendendone il piacere. E poi, di tutti il più esperto, quel Berlusconi che in fatto di dominazione potrebbe vivere di rendita: «La spazzatura e le calunnie non mi fanno neppure il solletico…».


L’arte di annodare il destino di un Paese, rendendolo immobile, incaprettato e muto. Accadde in forma emblematica e tragica con Aldo Moro. Legato da una corda tirata con pari fermezza dai giudici del popolo e dagli amici di partito. Una “mossa della bilancia”, tutta giocata sul filo del limite e senza una cesoia a portata di mano che scongiurasse l’esito tanto prevedibile quanto aberrante, inutile e irreversibile della morte. E lasciasse il Paese solo ed attorcigliato dal suo stesso immobilismo.

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