lunedì 28 marzo 2011

Nascita di una nazione

C’è un film del 1915 dal titolo La nascita di una nazione. Narra della guerra civile americana e dei suoi effetti, e sostiene la madre delle tesi razziste: i neri sono inferiori, e dunque solo i bianchi possono esercitare e difendere la giustizia. Come? Inccapucciandosi e dandogli di forcone. Un atto di forza imposto dalla Storia per «osar sognare un giorno dorato dove la guerra bestiale non governerà più». Il film ebbe un grande successo.

Torna in mente quel titolo in questi giorni, nel vedere da una parte Maroni e soci che sfiancando l’isola – mettendo lampedusani contro migranti e ipotizzando respingimenti di massa – conducono la questione dentro l’unico recinto che conoscono: la sicurezza. E dall’altra, gli ex pacifisti “senza se e senza ma”, consapevoli di come l’invocata impresa aerea stia annientando le rivolte arabe in una guerra europea, che imbarazzati chiedono di evitare (quantomeno) reazioni sbrigative. Entrambe le posizioni partono dall’assunto che gli sbarchi di queste settimane siano un problema.

Secondo noi è una – pericolosa e pretestuosa – fesseria. Ciò che i nostri occhi dovrebbero vedere è esattamente l’opposto. Gli approdi (siamo a quota 7mila persone, nulla di biblico) sono la sola, vera, viva, piena, lampante, feconda ipotesi di futuro che il paese possa darsi. La possibilità di diventare una terra di immigrazione e non di sola emigrazione. L’occasione di ricordare come il vigore del Sud abbia sempre fatto bene anche al Nord. Di chiederci cos’hanno New York e Parigi di tanto particolare se non i migranti che le abitano e animano. L’opportunità di riflettere sul vuoto che ci immobilizza, confidando in biografi e così smaniose di riscatto.

Se in luogo dei gendarmi ci fosse la politica a suggerire soluzioni, ci ritroveremmo in tanti sulle banchine, a sbracciare, come a dire: «da questa parte». Se i nostri governanti si sfilassero il cappuccio bianco, vedrebbero lì, dove ora domina la morte e il disprezzo, tra i corpi raccolti come in un perenne barcone, la sola Italia da desiderare. E poi, magari, tra 150 anni, festeggiare. 

pubblicato su Gli Altri

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