venerdì 16 dicembre 2011

Napolitano, daddy pop


Non c'è luogo, salotto, vagone, negozio, circolo, sito, trattoria, redazione, confessionale in cui non si sia detto nelle ultime settimane, alzando il mento come a dar solennità: certo che il Giorgio l'è stato proprio bravo a 'sto giro... in due mosse ha spiazzato tutti e finalmente ha fatto… – pausa da cerimoniale, occhio sgranato verso una linea immaginaria con gli astanti in partecipata attesa – …politica.
Giorgio "The King" Napolitano, dicono i fan in forma di sceneggiatura, ha cacciato Berlusconi, ha salvato l'Italia dal baratro e ha ristabilito il decoro. Tre atti, come in un plot perfetto. Un Harry Potter targato Inps, occhialuto e dal passo british, ha dato spessore al motto più "migliorista" dei due mondi: primum vivere deinde philosophari. Con inclemenza e un senso assoluto delle procedure, sir Giorgio, il più regale dei comunisti italiani, il meno velleitario, il più pragmatico e poliglotta del Bottegone, non solo ha suscitato nuova speme nella borghesia italiana, affilando l’accetta dell'emergenza, ma si è guadagnato il podio del politico più popolare.

mercoledì 14 dicembre 2011

Viva i soldi!


In questi giorni di addobbaggio massivo di natalizio spirito, mi sono ricordato di fratello Caravaggio. Il suo volto stropicciato dalla gastrite, come ricorderete, campeggiava sul lato buono delle centomilalire. Dieci anni sono trascorsi da quegli occhi tondi e disincantati, testimoni di passaggi in cassa e acquisti festivi. Senza cambiar d'espressione, il più talentuoso dei pittori si abbandonava in altrui mani – «se vedemio, compare» – lasciandoci in dote altre facce, di ben più basso lignaggio: la materna Montessori, per esempio (lire 1000), o le 5mila del puntuto  Bellini. Non è amarcord, questo. Chissene della lira. Ma visti da qui, quei volti miniaturizzati, non erano, di vile pecunia, semplici testimonial, ma portavoce in filigrana di un legame tra le persone e la carta moneta, tra il lavoro e il denaro prodotto, tra le antiche arti e le progressive sorti. Era l'economia. E le centomila avevano gli occhi di un genio omicida.

Pd, il tecno-segretario e quella voglia di congresso…


Beccatevi la citazione: «L'aspetto totalizzante della tecnica va a costituire l'orizzonte ontologico entro cui qualsiasi azione, anche rivolta contro la tecnica, non può mai porsi comunque del tutto al di fuori di essa» (Emanuele Severino). Insomma, di fronte al governo Monti, l'umano Bersani non può nulla. Nulla sul fronte interno – del partito può solo limitarsi ad amministrarne l'attitudine al correntismo, e nulla su quello esterno: revocare l'appoggio all'esecutivo? Ma siam pazzi? Una sola battuta in commedia, dunque, gli è concessa: «Il Pd è unito». Ripetuto allo sfinimento, suo e degli astanti.

giovedì 24 novembre 2011

L'occasione degli amici Pd di Marchionne

C'è del Pd in Danimarca. La parolina intorno a cui si concentra il ring democratico è flexsecurity, termine che deve alla patria della Sirenetta la sua fama. Prevede la massima libertà di licenziamento da parte dell'impresa a fronte di un'indennità complementare al 90% dello stipendio, per il primo anno di disoccupazione. Il gruppo sostenitore di questa linea in salsa italiana è guidato da Enzo Bianco, e l'estensore è Pietro Ichino, giuslavorista dal doppio destino: minoritario nel partito di Bersani, vincitore morale nell'esecutivo Monti, che delle idee del senatore si farà garante. Lo ha detto a chiare lettere il premier stesso, nel suo discorso al Senato, intrecciando le lodi alla flexsecurity col riconoscimento del modello Marchionne.

martedì 15 novembre 2011

L'era del pene pubblico


«Gran parte dei maschi sono talmente orribili che meritano che se ne cavi tutto quanto si può!» (Marilyn Monroe)
Cosa resterà del maschio cresciuto, educato, svezzato ai tempi del berlusconismo? È stato tutto negativo, nella terra dei papi, oppure qualcosa andrebbe salvata? Ora che il capo è caduto, e che stiamo per imboccare il viale della sobrietà forzata, quali tracce restano nella ignominiosa storia maschia? Tutto fango? Nessun fungo?

Della militanza, dell'indignazione e del divertimento


Cominciamo dagli applausi. Un tempo c'erano quelli "alla bulgara". Ben scanditi, in un crescendo rivoluzionario. Applausi scroscianti, serissimi. Un solfeggio ossessivo verso l'ovazione. Anni dopo, i nostri, assistiamo all'applauso indignato. Silenzioso, meno solenne e senza battiti. Solo mani carosellanti, come i bambini con le filastrocche. Leggeri ma non faceti. Perché di cose i movimenti se ne possono pure inventare – tendopoli, trampoli, sedute yoga, carovane danzanti, cori allegorici – ma da un'altra non possono prescindere: l'impegno. Per uscire dalla crisi, per cambiare lo stato delle cose esistenti, per evitare che la rivoluzione si faccia pranzo di gala (che Mao Tse-tung non avrebbe disdegnato. Era il conto che lo spaventava), va bene satireggiare – talvolta – ma distrarsi mai. Ridere sì, divertirsi no. Etimologicamente parlando, il divertimento volge altrove. Devia dall'obiettivo di rendere il mondo un posto possibile. Per questo a sinistra, nello sforzo di elevarne il significato, di voli pindarici si è fatto incetta: «tempo liberato dal lavoro», «cultura e ricreazione» (Arci), «attività socializzanti», «occasioni ludiche» e altre invenzioni tarate sull'inflazione e i suoi dolori. Qui si soffre e si lotta. Cosa mai c'avrete da divertirvi?

Freddie e Rudy, la più bella storia d'amore degli anni Ottanta


Erano gli anni Ottanta. Con il decennio dell'impossibile alle spalle, si esplorava – e finalmente –  la selva del possibile. C'è il sipario della guerra fredda e delle identità indichiarabili, e i lumi del superfluo, a incorniciare la più bella storia d'amore che quelle primavere ricordino. Lui è Farrokh Bulsara detto Freddie, muscoli torniti, scuro di pelle, baffi curati, posa da macho e voce da tenore su corde da baritono. L'altro, più grande di otto anni, è Rudolf Nureyev. Esile di corpo, raffinato nei gusti, levantino nel lusso e danzatore come non ce n'è altrove. È in Spagna che si incontrano la prima volta, durante il ricevimento regale di Juan Carlos e Sofia. C'è una foto. Sono in smoking. «Lei è un ballerino straordinario». «E lei sarebbe dunque Mercury?».

domenica 30 ottobre 2011

All'iPhone di Michele Serra Trony fa schifo

Ci deve essere un attico molto bello, a Ponte Milvio. Più bello di altri. Con una vista magnifica, di quelle panoramiche, che tutto vedono. In questo attico, in bilico tra il ponte dei lucchetti e il megastore Trony, ci abita (forse, chissà) una firma nobilissima. Che scrive, a proposito dei disordini per l’iPhone:

venerdì 21 ottobre 2011

Hanno fotografato Gheddafi

«Muammar Gheddafi è stato fotografato». Dunque è morto. Sta diventando un’orribile consuetudine, come fosse una delle tante categorie del porno digitale – dictators – il gesto di milioni di polsi che con un clic animano i video della vendetta. Piani sequenza spediti on line da mondi vicini solo nella retorica, a descrivere nel dettaglio la morte violenta dei colonnelli. Corpi linciati, volti tumefatti, teste più volte ruotate in malo modo a favore di camera (che nel caso del raìs di Misurata alcuni siti precisano compiaciuti essere un iPhone). Clip amatoriali, girati da mano giubilanti e rapite da una furia orgiastica, che, nella trasmissione, da siparietti di vendetta nazionale (noi – come per molto cinema – ne fummo pionieri con piazzale Loreto) si trasforma in fulgido esempio di sex appeal dell’inorganico*.

martedì 18 ottobre 2011

Padroni.com


Con Shuva ho un contenzioso aperto. Qualche anno fa mi ha sfilato da sotto gli occhi cinque lavori. Piccoli servizi di grafica per una grossa società inglese. Io e l’indiano avevamo pubblicato il curriculum sul sito Odesk, specializzato nel job on line. Buona conoscenza dei principali software di editing, fotoritocco, montaggio e varie ed eventuali. Una bella fotina sorridente, e la garanzia di prestazioni perfette. Il giochetto è antico come il mondo. Chi presenta la soluzione migliore – soldi e tempo – vince. La prima volta si trattò di montare un video di 30 secondi usando una serie di 10 foto, e titolarlo. Io pensai: alle quattro c’è la bimba, alle cinque la piscina, alle sette quell’appuntamento lì... in due giorni posso farcela. Tariffa? Restiamo bassi: 100 euro. Manco il tempo di digitare il pacchetto, che Shuva l’infame già sorrideva. Tre ore di lavoro per 15 euro. Non ci fu partita, chiaramente. E così per altre quattro volte.

martedì 27 settembre 2011

Evviva il fallimento (ma ora basta)


Dice il saggio: sbaglio o qui non c'è nulla che funzioni? È un'impressione, eccessivo pessimismo, o perdiamo pezzi come un'auto rotta? A proposito di automobile e scoramento, diceva Henry Ford: «Chi teme di fallire limita le sue attività. Il fallimento è solo l'opportunità più intelligente per ricominciare». Retorica da inizio Novecento? Forse. Però è una buona scialuppa a cui aggrapparsi. Per esempio: colui che per dogma dovrebbe godere dell'infallibilità, il Papa, atterrato a Berlino, e parlando della sua Chiesa, ha ammesso di comprendere le ragioni dei fedeli che danno forfait. Missione ecclesiale fallita. «Grazie, sono stati 2000 anni bellissimi, ci mancherete», avrebbe dovuto dire, Ratzinger il politico, invece di esortare a nuova luce (ma come Ford anche lui pensa che il fallimento ha senso in quanto grimaldello di un nuovo inizio). 

lunedì 26 settembre 2011

La politica e l'arte dello Shibari

Foto didascaliche, disegni tecnici e glossari nippo-ciociari. Da ogni dove le migliaia di commentatori italiani alle prese con le insidie pruriginose della cronaca, dopo essersi edotti nei templi web del sadomaso, possono finalmente esclamare con compiaciuta sicumera e altrettanto sdegno: «Bondage!». Una parte dirà bondasc, che fa più marchese De Sade, l’altra azzeccherà la pronuncia anglofona. Ma il sottinteso è lo stesso: che perversione, che aberrazione. Che modo ripugnante di vivere la sessualità! Eppure, pur ignorandone tradizione e tecniche, dolori e piaceri, l’arte della legatura, dell’incappuccio, del bavaglio o più in generale dell'impedimento alla libertà fisica, di muoversi, di vedere, di parlare, di sentire, potrebbe essere letta, dopo la poesia e la navigazione, come uno dei tratti più marcati della storia italica. Una metafora capillare di una patria che schiava di Roma Iddio la creò. Di un’Italia, non a caso, a forma di stivale. Di lattice. Tacco 12.

mercoledì 7 settembre 2011

iDie, la morte ai tempi di Steve Jobs

Essere Cristo è innanzitutto una questione di stile. Corpo emaciato, occhio luminoso, posa carismatica e veste essenziale. Quando partorì la Apple, trentacinque anni fa, Steven Paul Jobs viveva le sue giornate in un garage piccolo e umido, scaldato da una  stufa. Nel corso della sua ispirata ascesa, è caduto e risorto almeno tre volte, battezzando colossi come NeXt e Pixar. Mentre moltiplicava file ed emmepitré ha lottato contro i luciferini Microsoft, Google e Ibm, annientandoli con la forza del design. E oggi che ha raggiunto la vetta del Sinai, quando presenta le sue tavole (tablet), non parla ma predica. Se il padre del Mac passerà alla storia, sarà per la più ecumenica delle invenzioni: aver diffuso dalle grotte di Cupertino un nuovo esperanto, fatto di icone e rapide combinazioni. Mela C, Mela X, Control Mela Esc. Simboli immediati e universali su cui puntare il dito indice perché le cose accadano, in California come in Sicilia. È così che la dottrina del plug & play consola ancora oggi milioni di consumatori in cerca di virtù.

sabato 20 agosto 2011

Cannibali senza amore

Matej Curko, l'antropofago slovacco ucciso il 10 maggio scorso mentre stava per mantecare un amico, ci ha lasciato ampia documentazione su come friggere un seno. Il taglio, il tipo di padella, i tempi e le spezie. E un ventaglio di contorni a cui attingere. Armin Meiwes, meglio noto come il cannibale di Rotenburg, nel 2007 spiegò all'affamato pubblico televisivo come la carne delle sue vittime avesse «un odore insolito, e tuttavia piacevole, come di maiale. Una volta in bocca risulta molto tenera e saporita nel gusto». L'importante, precisò Meiwes, è aprire le danze con il boccone del re, il pisello. «Va fatto rosolare velocemente nell'olio di oliva con un pestato di aglio e cipolla». Scegliere con cura la provenienza di cotanta ciccia – maschio bianco dai 18 ai 30 anni.

lunedì 1 agosto 2011

La versione di Andrea Marcenaro


Una vestaglia bianca con uno squarcio sul lato coscia. Pantofolato. Due, tre paia di occhiali. Un pacchetto di sigarette nella tasca destra. «Vuoi un caffé?». In cucina, una pila di barattoli di marmellata di prugne. In soggiorno, due mappamondi lignei, enormi. In salotto una parete zeppa di foto di famiglia, da un lato. Disegni delle nipotine, dall’altro. Due sedie scomodissime, al centro. Nello studio, un grande computer bianco e una torre di giornali. Fuori, una palma altissima e canuta. «È morta, andrebbe tagliata». È sabato mattina. C’è sole e tutti al mare. Andrea Marcenaro, invece, deve scrivere una nuova “Andrea’s version”, la rubrica per Il Foglio. Deve scrivere quella cosa che in molti considerano un rap quotidiano, un’overture, un’apnea verso la battuta finale, un tonico, un calcio di rigore, un tuffo da mille metri, un lubrificante per la crisi, una barra di cacao, una sigaretta tabacco e miele, un poker d’assi. «Io giocavo molto a carte. Insieme a Erri De Luca e Lanfranco Pace, veri professionisti». Come una tisana, la rubrica di questo genovese di 60 anni e passa depura da tutte le tossine del ben pensare. «Ma non capisco proprio perché vogliate intervistarmi». Si siede come si sarebbe seduto Barney, quello la cui Versione fece scuola: con una lentezza ben scandita. «Cosa posso dirvi di utile?» Nulla. Questa vuole essere, e sarà, un’intervista totalmente non necessaria. Secondo la migliore delle filosofie.

domenica 17 luglio 2011

Roma violenta, nostalgia (della) canaglia

«E mo'? Che famo? Questi ammazzeno sul serio, mica pe' ride. No, dico, questi te pijano cor trucco daa rota bucata e te fanno fuori co' 9 pistolettate. Magari solo perché hai pestato er piede a quarcuno, anni addietro. A un cravattaro, 'no spacciatore, a n'amico de n'amico. Va a capì. Eppoi dicono, occhio quanno giri pe' San Lorenzo, Tor Pignatta, o lì, a San Basilio. Macché, questi spareno a Prati, er quartiere de quelli co li sordi. Boh, per me è 'n casino vero. Cioè, vojo dì, me pare 'na cosa seria».
Sì, probabilmente è una cosa seria, o per meglio dire: ora si comincia a vedere che la cosa è seria.

giovedì 7 luglio 2011

Il gossip è morto

Il gossip è morto. Dopo mesi dominati dalla politica dell’origlio e dall’esercizio quotidiano dello spioncino, il gossip è morto. Falcidiato dalle folte truppe di tessitori di lettere scarlatte, il gossip è morto. Schiacciato dalle vicende pecoreccio giudiziarie di Berlusconi e dalle reazioni uguali e contrarie dei neo puritani associati, il gossip è morto. E questa è l’unica cosa certa, perché se fosse vivo sulle prime pagine dei grandi giornali e siti web non campeggerebbe quel velo di sobrietà che fa tanto poco estate.

martedì 21 giugno 2011

Desiati? Stregatelo!

– Luglio, col bene che ti voglio, porta un premio in dono al narrator di Puglia che con un libro tosto, di lingua ricca e schietta, racconta la vicenda di una ragazzetta che dagli scogli e il mare, a seguire il padre, in Svizzera finì. Mimì. E lì, conoscerà un amore e l'inizio di una cosa con un nome, Ternitti, che non bisognava respirare. Poi, donna, con Arianna, tornata giù, fiera e sorprendente, l'intero paese da sopra un tetto finalmente riscattò –. Bene, con questa filastrocca sbilenca noi imbuchiamo nella cassetta del Premio Strega la nostra preferenza: vota Mario, vota Mario Desiati. Ci piace la sua protagonista, l'italiano e il dialetto salentino, le feste sacre e la modernità, il Sud arcaico e un Nord infinito e disperato, la vigliaccheria dei maschi e la forza delle vedove, la loro solitudine. E quel mostro dal nome poco conosciuto: asbestosi. La malattia avvelenata d'amianto che negli anni Sessanta divorò il corpo di centinaia di lavoratori pugliesi saliti a Zurigo senza armi e con pochi bagagli. Porteremmo fortuna a questo 34enne già pluripremiato così come fu per la scorsa edizione con Antonio Pennacchi, che a noi solo dovette la vittoria? Desiati dice no, non sarà così.

venerdì 17 giugno 2011

Vincere!

Stare bene. Dagli altoparlanti della canzone popolare risuona il motto: stare bene. Mangiare sano, pedalare senza tregua, stile-rana-dorso, dar di pilates, intossicarsi di maratone, caldissime saune finlandesi, tisane di ortaggi, ore alla wii balance, roteare il collo ogni dieci mail, smettere di fumare (e infatti: dove è nascosto il sigaro ciancicato di Bersani?).
Il fisico da intellettuale, segaligno, pallido, con le costole in vista e le chiappe depresse ha ceduto il posto al corpo democratico, asciutto, con gli addominali in fila per tre e un colon fichissimo. Dismessa la fregola rivoluzionaria, il buon compagno si è immerso in calendari ginnici, misurazioni cardiache e monitoraggi calorici. Alle scarpe rotte (eppur bisogna andar…) ha preferito quelle in saldo da Decathlon. Il pugno chiuso, se si allarga l'inquadratura, tiene ben stretta l'asta su cui a suon di flessioni si dà un senso ai deltoidi.

lunedì 6 giugno 2011

Se Mazinga avesse salvato Alfredino

Lo scorso 30 maggio i due corsivisti più seguiti d'Italia hanno avuto la stessa impressione: la vittoria di Pisapia nella casa del Biscione ha segnato la fine degli anni Ottanta. Per la cronaca, Michele Serra ha scritto questo:
«Ieri, lunedì 30 maggio 2011, verso le quattro del pomeriggio, sono finiti per sempre gli anni Ottanta italiani, il decennio più lungo della storia del mondo. È finita la politica del cerone e delle facce rifatte, delle convention, delle escort, delle olgettine, degli spot, della tivù dei telegatti e delle cerimonie di corte, dell’edonismo fintoallegro, dell’ignoranza caciarona spacciata per genuinità popolare (ingannando atrocemente il popolo). È finita la fiction». (continua qui)

martedì 24 maggio 2011

Biennale, 200 apostoli e un papa

Sapete quel matitone rosso e blu dell’ufficio censura? Quando il funzionario vergò di rosso vaste parti dell’adattamento del Galileo di Bertolt Brecht, Angelo Maria Ripellino disse, voltando le spalle: «No, grazie». Era il giubilante 1950, e il testo tra i più anticlericali della storia. Ma il celebre slavista rinunciò alla messa in scena, non volendo «fare una cosa brutta».

giovedì 19 maggio 2011

Non spegnete quella cicca

Ho smesso di fumare un anno e mezzo fa. Diciotto mesi. Cinquecentoquarantasette giorni, più o meno. Nell'estate del 2001 fumavo molto. Ne accendevo una dopo l'altra. Un chain smoker. Una catena di cicche. La mia fama, tra i polmoni, era pessima.

lunedì 16 maggio 2011

Lo spionaggio partecipativo

Non c'è nulla di difendibile in un autista che guida con i gomiti, avendo le mani impegnate da due cellulari. Fatta questa premessa, valida anche per i tassisti cocainomani e i piloti d'aereo 'mbriachi, credo sia lecito porsi un'altra domanda. Secondo voi è normale accendere un telefonino, avviare la videoregistrazione, riprendere l'illecito, salvarlo e spedirlo a una testata giornalistica che a sua volta lo pubblicherà suscitando tsunami di indignazione?

venerdì 6 maggio 2011

Centri sociali

L'Ikea è il luogo dove – no, non ci sono dati scientifici, pura indagine sul campo – si consumano i litigi più strazianti della storia delle coppie. Si entra con la voglia di metter su famiglia, si esce con il desiderio di sterminarla. Il bacio collettivo in risposta alle dichiarazioni del sottosegretario Giovanardi ha mitigato questa verità, trasformando i grandi magazzini nel quartier generale dell'amor profano e dei diritti universali. Il flash mob pomiciante sotto l’insegna giallo blu ha reso il mobilificio svedese uno spazio non solo sociale – l'oggetto stesso del consumo, dove spendere (appunto) il proprio tempo – ma finalmente politico. Un timido inizio (come quello contro la violenta titolare di Tezenis, a Porta di Roma), in uno dei luoghi deputati allo svago, secondo statistiche recenti, del 35 percento dei ragazzi (il resto si divide tra il bar sotto casa, lo stadio e la cameretta).

sabato 30 aprile 2011

Il lavoro, e beato chi ci crede

Una giornata bagnatissima - sarà - quella di domani. Come la scena raccontata nel film Roma di Federico Fellini, girata sul grande raccordo: lì la telecamera entrava nelle automobili in coda, e tra clacson e cavalli azzoppati restituisce ancora oggi una delle (sur)realtà tipiche della kaputt mundi.
Il regista girò quasi tutta la pellicola nel perimetro di Cinecittà: i vicoli di Trastevere, il Pincio, la stazione Termini. Per risparmiare, forse, e per sottolineare la naturale continuità tra Roma e l'immaginario cinematografico.

Domani l'intuizione felliniana tornerà con prepotenza. Una fiumana di persone, un esercito di comparse riempirà le strade e le piazze della città, dando vita a un colossal in presa diretta. Con canti e speranze, si raccoglierà intorno all'omaggio di un riferimento, un simbolo che per molti anni è stato al centro della vita di ognuno. E che oggi, con la sua assenza, rende più fragili le giornate di chi gli ha creduto.

Domani primo maggio si festeggia il lavoro.

(il miracolo del conclave di sinistra sarebbe eleggere a idea questo pensiero: reddito per tutti. Semo romani, volemose bene, damose da fa')

venerdì 15 aprile 2011

Asor Rosa, Lipperini e il problema

Prima leggete qui.

La bacheca a cui si allude è la mia.
(Mi sia concesso di saltare a pie’ pari sul commento “eutanasia”: tutti sappiamo che in rete chiunque dice la qualunque, così vanno i network, e censurare, più che scorretto, è inutile).
Mia (nostra?) è la colpa di non aver voluto ragionare sulle reali motivazioni che stanno alla base della forzatura di Asor Rosa. È vero. Occasione mancata. Ho preferito dargli del rimbambito che aprire un dibattito sulla fine delle istituzioni. Un po' come quando si liquida Berlusconi con un «quel nano mafioso». Oddio, non proprio così, ma quasi.

giovedì 14 aprile 2011

Il golpe di Asor

«Ciò cui io penso è invece una prova di forza che [...] scenda dall'alto, instaura quello che io definirei un normale «stato d'emergenza», si avvale, più che di manifestanti generosi, dei Carabinieri e della Polizia di Stato, congela le Camere, sospende tutte le immunità parlamentari, restituisce alla magistratura le sue possibilità e capacità di azione, stabilisce d'autorità nuove regole elettorali, rimuove, risolvendo per sempre il conflitto d'interessi, le cause di affermazione e di sopravvivenza della lobby affaristico-delinquenziale, e avvalendosi anche del prevedibile, anzi prevedibilissimo appoggio europeo, restituisce l'Italia alla sua più profonda vocazione democratica, facendo approdare il paese ad una grande, seria, onesta e, soprattutto, alla pari consultazione elettorale». 


Voi direte: Pinochet. No, Alberto Asor Rosa. Qui.


to be continued

mercoledì 13 aprile 2011

La pagina di Milena

Un pomeriggio di alcuni mesi fa mi ha chiamato sul cellulare una preoccupatissima Milena Gabanelli. «Sono Milena Gabanelli». Ho pensato che fosse vero dalla voce. La voce di Report non si confonde. «So che tu sei un esperto di Facebook». No, non sono un esperto di nulla. Ma ci sono cose dove si può fingere esperienza. Facebook è una di quelle. «Qualcuno ha aperto una pagina a mio nome, senza il mio permesso». Il tono si faceva duro, severo. Tanto che per un secondo ho avuto il timore di essere io, il colpevole. «E ora arrivano sulla bacheca di moltissime persone testi a mio nome, documenti e foto che io non ho mai autorizzato».
Avevano semplicemente aperto una pagina pubblica, di quelle dedicate ai personaggi noti, e invitato gli utenti a diventarne fan. «Non mi interessa, io voglio che quella pagina venga chiusa».

Vedendo la puntata di Report dell'altra sera, dedicata appunto a Facebook, mi è tornata in mente questa telefonata. Temo che le critiche mosse al social network da Gabanelli, il tono millenarista e dietrologico con cui ha confezionato l'inchiesta, nasca da lì, da quell'imperdonabile “abuso”, dall'apertura di una pagina che portava scritto nel titolo: «questa è la bacheca dei fan di Milena Gabanelli, la migliore giornalista della televisione italiana».

Berlusconi rende liberi

«C'è un topo in cucina. Finirà che morirà se non l'ammazzo». Dice così il vecchio cieco di Finale di partita di Samuel Beckett, impartendo l'ennesima lezione di vita al servo Clov, di cui è infine dipendente. «Ho pagato Ruby per evitare che si prostituisse», dice Silvio Berlusconi, autore e interprete delle sue operette. Ha una sua logica: assumere il potere sugli altri significa sottrarli al mondo marcio e cattivo, dove regna il caos. Il motto “Il lavoro rende liberi” era affisso all'entrata del lager, non all'uscita.

Verrebbe da aggiungere che Berlusconi ha pagato Fede per evitare che facesse il giornalista. E Gasparri il politico. E Frattini il ministro. E così via.

mercoledì 30 marzo 2011

Föra da i ball, Grillo dixit

«Io sono di sinistra e anti razzista ma credo che questi non sono affatto disperati, vengono ad invaderci, semplicemente non gli piace la loro casa e gli piace la nostra e se la vogliono prendere». Una riflessione da brivido primaverile che non viene dalla pancia ulcerata di un cittadino lampedusano. No, viene dalla testa di un commentatore del blog di Beppe Grillo. E – provare per credere – rappresenta a meraviglia il tenore generale.

lunedì 28 marzo 2011

Nascita di una nazione

C’è un film del 1915 dal titolo La nascita di una nazione. Narra della guerra civile americana e dei suoi effetti, e sostiene la madre delle tesi razziste: i neri sono inferiori, e dunque solo i bianchi possono esercitare e difendere la giustizia. Come? Inccapucciandosi e dandogli di forcone. Un atto di forza imposto dalla Storia per «osar sognare un giorno dorato dove la guerra bestiale non governerà più». Il film ebbe un grande successo.

martedì 15 marzo 2011

Questo è un paese per Vecchioni (e Jovanotti)

È così arsa, la gola della piazza, che la vittoria sanremese di Roberto Vecchioni ha avuto l'effetto di una pasticca balsamica. Con un brano che si ha come l'impressione di ascoltare da oltre 30 anni, il paroliere di Carate Brianza ha dimostrato alla sinistra in cerca d'autore che il consenso è a portata di mano. Senza spargimenti di sangue e gazebo.
Per marketing o patriottismo, e sospinto dal vento della Giovine Italia di Fazio, Saviano e Benigni, l’autore di Samarcanda concluso il festival si è gettato nel pellegrinaggio obbligato (dentro e fuori la tivvù) della buona retorica.

lunedì 14 febbraio 2011

Il reality che piace a Marchionne

L’economista Jeremy Rifkin lo scrisse nel ‘95, in un noto saggio che è stato adottato e citato dalle destre e sinistre e ultrasinistre di mezzo mondo: “il lavoro è finito”. Sedici anni dopo, il canale più smart della tivvù, La7, realizza un programma che su quell’intuizione mette il suggello: Il contratto (sottotitolo: Gente di talento). In epoca Marchionne il lavoro diventa un montepremi. Niente pacchi, denari e parmacotti. Occupazione. Subordinata e garantita. Un tuffo nel passato, come quando il lavoro c’era.

martedì 18 gennaio 2011

Il comicismo

«Troppi sono oggi i fattori ansiogeni. La mia sarà una tv ottimista». Lo dichiarava Silvio Berlusconi a Camilla Cederna, in un'intervista per L'Espresso. Era il 1977. E la flebo di “ottimismo” che avrebbe condotto un intero paese nelle stanze del “miracolo italiano” cominciava a stillare le prime gocce.
Oggi, 34 anni dopo, a miracolo evaporato e fattori ansiogeni immutati, un comico pugliese, Checco Zalone, realizza il film più proficuo della storia, scalzando dalla classifica, con una pellicola di battute, un'altra comicità, quella di Roberto Benigni. C'è un collegamento tra la promessa di “levità” fatta dall'allora palazzinaro milanese e il grande successo del dispositivo comico di questi anni? Da Drive in ad oggi abbiamo imparato a ridere meglio? Delle battute ne siamo diventati più esperti o solo più dipendenti?

lunedì 10 gennaio 2011

Mattia Pascal è stato arrestato

Lì in California, dove batte sempre il sole, il deputato democratico Joe Simitian (cercate una sua foto in rete, è identico a Bettino Craxi) ha proposto e fatto approvare la Sb 1411, legge (in vigore dallo scorso primo gennaio) che punisce coloro che navigano nei social network sotto mentite spoglie con un’ammenda fino a mille dollari e un anno di reclusione.