lunedì 30 luglio 2012

Il supereroe Vladimir Majakovskij


Passeggiando per i teatri imperiali di Leningrado, lo slavista Angelo Maria Ripellino, con lo sguardo rivolto ai grandi arazzi rubini adagiati su stucchi e ritratti di maestri di scena, domandava: «Majakovskij, Mejerchol'd, Ejzenštejn, dove siete finiti?». All'eroico (ed erotico) trio della rivoluzione maiuscola, lo scrittore si appellava con lo stesso incanto che diffondeva camminando per i corridoi dell'università romana, quando in faccia ai muri e ai tordi, citando il Vladimir, urlava «Parrucchiere, mi pettini le orecchie!». Incanto sì, in Ripellino, ma anche tanta troppa mestizia c'era in quell'appello inascoltato, per l'opacità che andava divorando il tempo suo e quello a venire. Era la fine degli anni Cinquanta, e «lo stalinismo già volpeggiava negli arcani casamenti di Kafka».

Paolo Bonacelli, l'artista e la merda

«Era della golosissima cioccolata amara con canditi». Perché io me lo sono sempre chiesto: quella che il repubblichino per finzione Paolo Bonacelli, in Salò o le 120 giornate di Sodoma, calandosi le braghe rilasciava sul pavimento, tra le risatine dei gerarchi, la pietanza escrementizia di cui la vittima doveva cibarsi, era vera merda? No, cacao. «Io e gli altri interpreti ci divertivamo come matti. Alla fine della scena ce la mangiavamo con appetito. Per noi era solo ottima e innocua cioccolata». Ma quando lo incontrano e ci parlano, e salta fuori Salò, la domanda è sempre accompagnata dal disgusto. Come se non fosse chiara, dice l'attore, la linea che separa la realtà dalla fantasia. Il patto tra immaginario e modelli sociali. Croce e delizia, merda e cacao, di questo Paese. Ma Bonacelli, che ha il talento di non perdersi in funambolismi mentali, si limita a sostanziosi aneddoti, e aggiunge che «I piselli dei ragazzi sottomessi erano solo protesi di gomma».

lunedì 4 giugno 2012

Pornografia di una nazione


Qualche settimana fa un tipo americano è stato arrestato perché faceva sesso con la sua automobile. Gli agenti lo hanno sorpreso mentre cercava di penetrare la marmitta della sua Ford. Non si capisce il motivo delle manette. Fare sesso con l'inorganico – aspirabriciole, citofoni, poltrone – se consenzienti, dovrebbe essere un diritto di tutti. Eppure il gesto dello yankee ha inorridito molti. «È un pazzo, che schifo, che gusti orribili». In Rete si è sollevato il dissenso, lecito ma ipocrita fino al midollo, per una pratica che ha un suo nome, mechanofilia, e molti seguaci: quanti sono gli italiani che lavano, guardano, lucidano e accarezzano la propria auto con una cura che mai concederebbero a cose e persone sprovviste di targa? Tantissimi. Eppure la passione per la cromatura, stranamente, non abita l’indice porno dell’utente italiano, precipitato digitale di tutti i luoghi comuni e pecorecci di un Paese fermo agli anni Cinquanta.

martedì 22 maggio 2012

Sei stata (anche) una grande cantante


La cantante di jazz guardava le locandine del Mocambo, il popolarissimo club di Hollywood, divorandole con gli occhi. Suonare lì voleva dire spiccare il volo. L'impedimento non era il talento, che già aveva ottima stampa e un seguito da far invidia a colleghe più introdotte, ma l'essere una donna afroamericana (erano gli anni Cinquanta, e non si viveva di solo Billy Wilder). Per questo l'amica bionda, anche lei vocalist, allieva di Hal Schaefer, e attrice di fama, vantando un bel credito con quel locale, alzò la cornetta e chiamò il proprietario. «Se ingaggiate Ella – confesserà anni dopo la Fitzgerald – sarò presente ogni sera, seduta al tavolo di fronte al palco». E così fu. «A ogni esibizione era lì. Con i giornalisti ad affollare il locale».

La bellezza della bruttezza

Che brutta cosa che può essere la bellezza. Quanta crudeltà e ossessione sprigionano i suoi occhi, abituati nei secoli ad essere omaggiati da élite e oligarchie. Guerre dichiarate per una bellezza sottratta. E i miti e le divinità elette per celebrarla. La bellezza, l'insegna sotto cui si scatenano le più incontrollabili pulsioni. Con un unico rivale: il denaro, diceva Marx, «il solo che può compensare la mancanza di bellezza». Sinonimo dunque di opulenza, privilegio. Capitale. Strumento all'uopo aggressivo, cinico e spietato. La bellezza non olet. E la sua ferocia, col bagaglio di finzioni e meschinità, di effetti speciali e piaggerie, trova nella sua ombra, nell'identità uguale e contraria che si porta dietro dai tempi di Policleto – la bruttezza – il bersaglio prediletto.

venerdì 20 aprile 2012

E.T., torna a riprenderci

Avevo nove anni e fortissima fu la sensazione del dito luminoso sulla fronte: «Io resterò sempre qui», prima di risalire sull'astronave e addio. La sala che si accende e mia nonna che maschera la commozione con un sibilo: «bello, eh?». Una volta fuori, dicembre 1982, lei tornò alle sue cose e ai film di parola, io presi a crescere, e al cinema insieme non ci tornammo più.

lunedì 9 aprile 2012

Suicidi e altri abbandoni


 - 3 aprile Nunzia C., 78 anni, si lancia dal terrazzo di casa. L'Inps le aveva ridotto la pensione da 800 a 600 euro.
- Il primo aprile un artigiano di 57 anni si è impiccato all’interno della sua bottega a Roma per ‘’problemi economici’’.
- Il 27 marzo scorso Giuseppe Pignataro, 49 anni, di Trani, si è lanciato dal balcone perché non riusciva a trovare un lavoro stabile.
- Il 23 marzo un imprenditore quarantaquattrenne di Cepagatti (Pescara) si è impiccato nella sua azienda, strozzato dai debiti.
- Il 21 marzo un uomo di 47 anni che gestiva un’attività commerciale da due anni era senza lavoro, si è ucciso con un colpo di pistola nella sua automobile nel cosentino.

giovedì 15 marzo 2012

La sigaretta rende le persone migliori
(La versione di Marcenaro)

Ho una mia teoria, sul perché “fumare” urti tanto gli altri: non è per l’odore, la coltre, la nicotina che nuoce o la gestualità un po’ di maniera, che il tabagista gode di pessima nomea. Ciò che taglia il mondo più delle ideologie sta nella relazione intima tra il fumare e il respirare. Le sigarette danno forma e sostanza al respiro, così impalpabile e vitale, conferendogli la capacità di avvolgere i corpi altrui. È il test di misantropia più fedele che si possa esperire: o si amano gli altri o si odiano i tabagisti. Non ci sono vie di mezzo. Mi pare di capire che Andrea Marcenaro sia, magari partendo da altre premesse, d’accordo con questa lettura. Marcenaro è l’autore di quella perla quotidiana, “Andrea’s Version”, con cui Il Foglio invita alla lettura. E confida un incidente di percorso che i maschi fumatori più avvezzi hanno provato tante volte: «Stamattina mi sono acceso la prima mentre stavo in bagno. Buttando la cicca nella tazza mi sono bruciato una palla. Stretto nel dolore come Fantozzi mi sono fiondato sul bidet e ho aperto il rubinetto che credevo amico, investendo la palla di acqua rovente».

Sabrina e la parodia reale

Eppure in sonno m'è venuto il sospetto: e se "Un due tre stella" fosse stata una straordinaria parodia? L'arena informal-borghese dello studio – ho pensato – le luci smorzate, Sabina sempre in piedi con abuso di inquadrature "all'americana", gli interlocutori stravaccati e a gambe tese, quel generale senso di caciara controllata delle assemblee di sezione (o di condominio), il rimpallo costante di vocaboli come "crisi", "debito", "marchionne", i giovani brillanti-a-cui-tarpano-le-ali. Cos'altro se non una gustosa parodia de L'Infedele di Lerner?

Carmelo Bene, la televisione e l'amore per il pubblico

La tensione intellettuale con cui Nostra signora del teatro teneva agganciati noi, popolo televisivo, ai suoi Uno contro tutti, felice invenzione di Maurizio Costanzo in Parioli, fu ribaltata una sola volta. Da Roberto D'Agostino. Dacché Carmelo Bene aveva ripetuto a più riprese: «Io non esisto», Dagospia, uno dei tutti, azzardò: «Ma se lei non esiste, perché si tinge i capelli?». Ridemmo in tanti, e non solo per aver beccato il potente (di verbo e intelletto) in fallo. Cedendo alla provocazione inattesa, l'artista salentino smise per un istante di considerare se stesso come il solo pubblico accreditato. Con sorriso cortese e pupille tremanti, Bene tradì la consueta distanza con cui firmava le sue rare e popolarissime incursioni televisive, e confermò la regola di non essere «mai in diretta», come scriverà Enrico Ghezzi, «che è il senso più forte di tutto il suo lavoro».

mercoledì 7 marzo 2012

L'ira funesta del manager nichilista

Dice Corrado Augias: «Marchionne non mi piace perché è ambiguo». Dunque cos'è l'ambiguità? Nella linguistica viene definita polisemia, pluralità di significati. Io intendo una cosa, tu la interpreti diversamente. Ambiguo è ciò che duplice, equivocabile, tortuoso. Ambigua era la lingua di Mallarmé, di Apollinaire, di Joyce. L'uso di parole composte e artificiali per rovesciare la realtà ed esibire il vero. Tutto si può dire su capitan Sergio ma, se paragonato all'iconografia tradizionale e artefatta degli uomini che hanno fatto l'impresa, sorriso ampio e cinturino sovrimpresso, la presunta ambiguità dell'italo canadese qui si fa virtù. Marchionne, evocando mistero e non detto, se seguito con attenzione, potrebbe condurci a evidenze più solide di quelle propagandate dal lessico neo-calvinista che domina la sua legislatura. Procediamo con ordine.

Ave, Maria

Dopo aver brindato alla vittoria della “sua” Emma, Maria De Filippi ha prontamente annunciato di voler realizzare un «sanremino» sulle reti del biscione. Quell'-ino sa un po' di rivincita e un po' di presa per il culo. Ma lei può, e non solo perché da anni fornisce ai due poli gli ingredienti migliori da cui cavare numeri e denari, ma perché la forza di questa signora nata a Milano 51 anni fa, laureata in giurisprudenza, con un marito che è ormai "il marito della De Filippi" (Costanzo lo conobbe nell'89, pensate,  durante un convegno contro la pirateria), piacente e austera, erre moscia e voce graffiata e mentina in bocca come fosse un intercalare, occhiali e tacco dodici e nulla a che vedere con le euforiche nevrosi delle sue colleghe, la forza di Maria, dicevamo, sta nel fatto che lei, negli anni, ha prodotto ben più che format di successo, ma, semmai, un grandioso, adorabile, detestabile racconto collettivo. Così andrebbero considerate le sue creature, Amici, Uomini e donne e C'è posta per te: come una saga, una guerra stellare del quotidiano, una trilogia of life.

domenica 29 gennaio 2012

L'inno del corpo sinistro


Lo so, chiedere a me, maschio manco troppo plurale, di scrivere un articolo sul corpo e la sinistra, con a fianco l’intervista a Lea Melandri (cfr. Gli Altri settimanale del 3 febbraio), è come mettersi comodi, aprire il sipario e godersi la buccia di banana. (È il ventesimo incipit che scrivo e forse l’unico che merita la lettura). Ora, se compongo queste righe non è (solo) per presunzione, ma perché camminando su e giù per il vuoto mentale mi sono ricordato di Giampaolo Pansa, e di un suo articolo del lontanissimo 1999. C’era la guerra dei Balcani, e gli italiani, governo D’Alema, come ricorderete, spedirono da par loro una dozzina di aerei su Belgrado. L’allora editorialista dell’Espresso scrisse un pezzo contro chi era contro. Massimalisti, velleitari, estremisti, eccetera. Io, che non ero di nessun partito e chiesa – ma a domanda rispondevo genericamente: sono antagonista – prima di partire per la base Nato di Aviano e ivi protestare, scrissi una lettera al compagno Pansa che oggi definiremmo “indignatissima”, per esporre le mie ragioni. L’ho persa, ma il finale suonava più o meno così: «...per questo noi abbiamo deciso di stare lì dove decollerà la morte, per testimoniare un’alternativa possibile. E lo faremo con i nostri corpi». A parte il tono da crociato, l’intuizione non era niente male. Invece di usare termini come “idee”, “bandiere” o “slogan” – che certo non mancarono – parlai di “corpo”, quella cosa con cui facevo l’amore e che gratificavo con calorie e sigarette.

lunedì 23 gennaio 2012

Non toccate il soldato DotCom

Non toccate il soldato Kim Dotcom. Al fondatore di MegaUpload e di Megavideo, l'impero dello scrocco cinematografico, inesauribile fonte di film taroccati a cui tutti ci siamo abbeverati, non andrebbe torto un capello. Per coerenza (nostra) andrebbe trattato alla stregua di un benefattore ribelle, di un generoso nerd sovrappeso che ha scelto di donare all'umanità i frutti dell'ingegno. Ma l'irriconoscenza domina, il potere non si smentisce, e così gli uomini in nero dell'Fbi lo hanno caricato in macchina recitando una lunga lista di capi d'accusa (dalla pirateria alla ricettazione) e promettendo 50 anni di galera. Senza sapere che più che consegnare un pericoloso criminale alla legge, stavano contribuendo, e manco poco, alla prima guerra via bit. Quella tra le truppe degli scaricatori di file e le multinazionali di varia specie, la cui fragilità si è trasformata in ferocia.

martedì 3 gennaio 2012

La liberazione di Liberazione


E se il destino di una testata fosse in qualche modo legato alla topografia della redazione? Repubblica, per esempio, è stretta tra una banca e la Cristoforo Colombo e ha la forma di un'ammiraglia per le Americhe. Il Messaggero: "bow window" sul Tritone e cortile sulla Questura, è antico come lo struscio di quella parte di città. Oppure lo specchio riflettente di Palazzo Chigi che è Il Tempo: vivrà tanto quanto la colonna romana che lo impala. Rannicchiato alle pendici del Bottegone, Il Riformista ha trasformato il "vecchio" in vintage, come il disegno della sua testata. E il manifesto? Ora è altrove, ma la sua strada, quella che per anni ne fu sinonimo, rimane via Tomacelli: la sua fortuna è cresciuta all'incrocio tra la bohème di via Ripetta e piazza del Popolo.