Per lunghe ore sono stato un totem e un megafono. Ho visto la mia bacheca (lo spazio per i commenti degli "amici") trasformarsi in una giostra allegra e chiassosa, zeppa di elogi e sarcasmo, di ammiccamenti e commozione. Nel perimetro del mio computer, ho visto nascere una comunità di genti, di ogni età e genere, mossa dall'amore per uno scrittore, per i suoi libri, per le sue parole. Un popolo costituito intorno a una semplice combinazione: nome+cognome+immagine del volto. Sulla destra, gli agnostici: «Sei veramente Alessandro?»; «Se sei il vero AB, rispondi a questa domanda sull'Otello...». Sulla sinistra, i fiduciosi: «Onoratissimo, Maestro»; «Grazie per aver scritto Oceano mare». Al centro, i disincantati: «Non so se sei vero o falso, però anche così mi stai simpatico».
Alcune parole mi immobilizzavano. Altre avevano il suono della sfida. Quali sono le regole corrette per dimostrare di essere se stessi, in un contesto virtuale? «Io so di essere io», mi ha scritto Elena, «devi convincerti». Era necessario un atto di fede. E non tutti erano disposti a farlo.
Io al contrario iniziavo a crederci. Non tanto di "essere" Baricco, quanto alla sua funzione liturgica. E all'atteggiamento reverenziale che le persone celebri scatenano. Ore e ore davanti al computer a leggere e ad essere letto, a stimolare discussioni, a rimediare ai passi falsi, a conservare la giusta distanza, a sorprendere ed essere sorpresi. Nessuno escluso.
Mi hanno scritto, hanno scritto a Baricco, molti "vip". Francesco Baccini, Selvaggia Lucarelli, Melissa P., Isabella Santacroce, Fabrizio Rondolino, Tommaso Labranca, Stefano Disegni, Roberto Cotroneo, Tiziano Scarpa e altri. A differenza della "gente comune", e salvo rare eccezioni, non hanno mai messo in discussione la "verità" del profilo. Ci hanno "creduto" senza indugi, forse perché da pari a pari non è buon costume chiedere attestati. Alcuni si sono spinti oltre: c'è chi mi ha lasciato il cellulare, «Ti voglio parlare di un progetto», chi mi ha scherzosamente chiesto in sposo e chi mi ha implorato di smettere di scrivere libri.
Non servivano voli pindarici, per scatenare un dibattito. I miei interventi si limitavano a brevi battute (chiamate "aggiornamenti di stato"): «Alessandro pensa che Fb sia un viaggio per viandanti pazienti». «Alessandro è torinese». Semplice, eppure sufficiente per pensieri e lazzi. Ad esempio: a partire dalla frase «Alessandro chiede di non leccarsi il dito per voltare pagina», Christian ha replicato «però il sapore delle parole a volte è troppo buono», e all'enunciato «Alessandro è uno scrittore», qualcuno ha scritto «dissento», dando il via a un gioco linguistico: «disseto», «arido», «ah rido», «od'ira», «o ardi», «radi odori», «rida, rida, odo», e giù di questo passo.
Lentamente, il ghiaccio si scioglieva. Il profilo di Baricco, vero o falso che fosse, si stava trasformando in un pretesto per creare e dissacrare. Qualcuno si era battezzato Umberto Eco: «Vorrei partecipare a questa indagine sul narratore». Altri scioglievano la loro identità in un nome collettivo: «Alessandro Baricco sono io». Altri ancora conversavano di cose loro, come in pubblica piazza.
Mi è sembrato, in quelle giornate, che per qualcuno il meccanismo di Facebook - il ciclo continuo di chiamate e risposte - si fosse in parte interrotto. Che al commento delle foto altrui, alla ricomposizione delle vecchie classi di liceo e all'esibizione dei nuovi nati si fosse aggiunta una reale partecipazione, volta a svelare il mascheramento o a sostenerne la forza, poco importa. Quel gioco restituiva un senso alle parole.
Tutto questo - e può suonare come un paradosso - a partire da una versione 2.0, virtuale, "potenziale" di un cittadino al di sopra di ogni sospetto, a passeggio in un territorio chiamato Facebook, abitato nella sola Italia da quattro milioni di persone.
Pubblicato su L'Espresso
Nessun commento:
Posta un commento