L'unico bagaglio che puoi portare è tutto ciò che non puoi lasciare indietro
(U2, All that you can't leave behind)
Dice Lazrak che le scarpe da ginnastica sono comode, lo sono comunque, anche se di infima marca. Sono ideali per i sampietrini, si adattano a tutto, jeans, pantaloni di velluto, tuta; è dunque utile averne diverse paia di riserva, per il lavoro e per lo svago. Abitando in un piccolo appartamento fuori le mura e lavorando al centro del centro storico e non avendo il motorino, le scarpe di gomma garantiscono un certo benessere. Lo si può constatare con l'esperienza e per successivi gradi di esclusione. A cominciare dai mocassini che, come è noto, con le scarpe da ginnastica non c'entrano nulla.
Cinque giorni e due ore fa pioveva di una pioggia leggera ma costante. Se si indossano dei mocassini su una superficie bagnata si rischia di cadere. L'inesperienza di un giovane amico compaesano algerino da poco arrivato in città può dimostrare questa tesi nell'arco di pochi metri; il suo passo reso incerto dalla paura e dalla stanchezza, poggiando sul mocassino tradisce l'equilibrio a più riprese. La suola del mocassino di pelle finta, inoltre, mal sopporta i terreni accidentati e non è raro che si buchi in più punti, agevolando l'entrata di acqua e sporcizia. Il tacchetto provoca un fastidioso effetto scivolo, spinge in avanti il piede e le dita forzano le cuciture anteriori, lacerandole. Costando poco, se ne possono acquistare più versioni. Ma non ne vale la pena. I piedi nel mocassino non respirano e sono costretti, dalla finta pelle e dal calzino acrilico, nella totale assenza di ricambio d'ossigeno. Se seduti, si può approfittare della posizione per liberare il tallone e concedere al piede un pur parziale refrigerio. è comunque fondamentale per la salute togliersi i calzini prima di coricarsi, in modo da far respirare le estremità. Così si sgonfiano. Nudi ma al caldo, sotto una coperta, un giaccone, un cartone. Osservare le tecniche della maggioranza dei barboni è più utile di qualsiasi dissertazione. Li si trova di frequente in prossimità dei luoghi di sbarco, nelle città di porto e nelle stazioni.
Due anni e qualche settimana fa era autunno e il clima della capitale era molto freddo e la pioggia abbondante. Quando si cammina sul bagnato con delle scarpe di stoffa i piedi si inzuppano. Le piccole ferite provocate dal gelo e dall'attrito si riaprono e fanno male. Il dolore costringe a una drastica interruzione del cammino. Un utile provvedimento è quello di fermarsi del tutto e organizzare la notte. Se si ha sufficiente spazio per dormire, come avviene durante le ore di chiusura alla stazione termini, è opportuno togliere scarpe e calzini, asciugarsi con cura, distendere le gambe e tenerle parallele e unite. In questa posizione può capitare di guardarsi la punta dei piedi e da lì aprire lo sguardo sul grande spazio vuoto della stazione e essere colti da profondo sconforto e solitudine. Spesso, dunque, non ci si cura dei piedi gelati e si guarda altrove. Se le scarpe di tela sono bianche, dopo poco diventano nere e non tornano più indietro. Andare in questura per chiedere asilo politico con le scarpe di tela nere, cioè non più bianche, è un'aggravante avvisabile dallo sguardo dell'impiegato che muove dal basso verso l'alto. L'inquadratura parte dai piedi per arrivare al volto. Un movimento di pochi secondi, tuttavia sufficienti alla formazione di un giudizio. L'incidenza dei piedi sulla salute di tutto il corpo è cosa nota; la loro permanente esposizione al freddo e all'umidità saranno causa di un aspetto malandato, difficilmente giustificabile, qualora l'impiegato non parlasse francese. Nonostante la carenza di strutture, fare la doccia con frequenza, insegnano, è un giusto rimedio. C'è chi ha la cattiva abitudine di fare la doccia con le scarpe di tela. L'acqua che esce dal tubo cade sui capelli, scivola sulle spalle, si raccoglie tra i peli del ventre e delle gambe e, prima di abbandonarsi allo scolo, si sofferma sui piedi. A quel punto l'acqua è molto, molto sporca e bisogna strofinarli. Con le scarpe sarebbe doppio sforzo. Poi, altro motivo per non fare la doccia calzati è che l'acqua rovina la struttura del tessuto, e in questura, comunque, bisogna tornarci più volte a ripetere le stesse cose - e si ha come il sospetto che abbiano il sospetto che uno si inventi tutto.
Alcuni mesi prima della richiesta di asilo politico, a napoli il sole picchiava. La costante sudorazione imponeva l'uso di scarpe aperte. I sandali infradito, nonostante siano fatti di gomma, consentono al piede di respirare. Nei momenti di sosta possono essere agevolmente sfilati e il contatto della pianta con una superficie calda può addirittura risultare piacevole. Tuttavia, l'estrema mobilità della parte posteriore dell'infradito, priva di alcuna forma di tenuta, tende, per l'eccessivo uso, a uscire dall'area del piede, favorendo la rottura della striscia di gomma rigida; quella, appunto, infradito. La conseguente ferita dell'interstizio tra l'alluce e il secondo dito è un taglio che, in uno stato di disagio, può protrarsi per diversi giorni, complicando il lavoro di sussistenza. Bisogna considerare che la soluzione del pasto deve essere cercata in pieno giorno, ovvero nelle ore di maggiore circolazione e attività. Lo stato di deficienza infantile, pane-doccia-letto, in cui si è costretti nei primi tempi di immigrazione, affatica il passo. Più si diventa pesanti maggiore diventa la fame, più si ha fame maggiore è il passo, più cresce il passo più duole la ferita tra l'alluce e il secondo dito. Una calzatura decente permette di correre con più agilità, sopratutto in momenti di emergenza, come nella fuga. La condizione in stato di fuga è la stessa della paglia sul fiume che, in balia della corrente, non può arrogarsi alcuna facoltà di scelta. Per molti rifugiati questo è il vero dramma.
Tre anni fa il mare di napoli di notte era già gradevolmente caldo. Le verruche del piede a contatto con il sale dell'acqua si disinfettano. Una nota che consola l'acuto dolore che dalla pianta sale fino al cervello. Hanno senso, quindi, le calzature di plastica trasparente che proteggono il piede da scogli o detriti non visibili, e in caso di movimenti disordinati e concitati. Una premura diffusa tra chi deve affrontare un lungo viaggio per mare senza poter contare su approdi in terraferma. Le conseguenze negative emergono alle prime luci del giorno che segue quelli del viaggio (da algeri a napoli in nave cargo ci vogliono trentotto ore, un giorno e mezzo): le stringhe di plastica strozzano le vene, lasciando a testimonianza profondi segni rossastri sulla superficie del piede. Nessuno, per mancata informazione, può sapere che la traversata durerà trentotto ore. Come nessuno può prevedere che nel ventre della nave in cui ci si accartoccia farà quaranta gradi al ritmo sincopato del motore (lì le scarpe di plastica si potrebbero comunque togliere). L'unica ipotesi che circola tra gli improvvisati ulisse è quella di essere gettati nel mare, una volta scoperti. Da qui, l'uso da parte di alcuni di scarpe con lacci e il detto che se il mare potesse parlare gli uomini si vergognerebbero di essere tali.
Tre anni e trentotto ore fa nel porto di algeri tirava vento, in cielo niente luna e c'era il coprifuoco. L'avvicinamento al molo indicato consiste in un continuo abbassarsi-sdraiarsi-rialzarsi. Per la precisione: se si sentono spari nelle vicinanze, è urgente abbassarsi. Vien da sè che la precauzione ottimale sarebbe quella di calzare un paio di scarpe da ginnastica ben assicurate al piede. Se non si vuole rinunciare comunque a quelle di plastica per la traversata e l'approdo, occorre sopportare il fastidio di un bagaglio a mano, cosa che nessuno di solito fa. Molte donne preferiscono avere le braccia libere per poter tenere i figli e evitar loro insopportabili fatiche.
Tre anni e quarantacinque ore fa a orano, in algeria, un vento caldo spingeva le nuvole verso il mare. Nella piazzetta antistante la casa di famiglia qualcuno suonò l'ora del caffè dopo aver disposto le sedie intorno ai tavolini. Le pantofole di iuta sembrano adattarsi alla gradevolezza della conversazione. Ricorda Lazrak che quel pomeriggio indossava le pantofole del padre e che, minacciato dalla polizia e costretto alla fuga, dovette abbandonarle sotto il tavolino. Ricorda Lazrak di aver intrapreso il suo lungo viaggio a piedi nudi.
pubblicato su Accattone - cronache romane
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