domenica 10 maggio 2009

«Io, Barbie, volevo essere una Bratz»

Incontriamo Barbara Millicent Roberts, nota come Barbie, nella sua ultima Dream House. Tanta naftalina, un’enorme vasca da bagno ed elettrodomestici rosa.
Lei è nata nel 1959. Cinquant'anni portati magnificamente.
Si aspettava rughe e artrosi? Mi spiace per lei, sono di plastica. Non invecchio.
Al contrario, è più bella.
Forse per lei. Per suo nonno ero meglio nel 1961, col grembiule da infermiera. O con l’uniforme da hostess.
Dubito che mio nonno giocasse con lei. Piuttosto mia madre.
Suo nonno mi comprava. Sua madre, semmai, è stata l’utilizzatrice finale, come dite dalle vostre parti. E presumo che sia stata una di quelle milione di stronzette che a una certa età, per affermare il loro rifiuto del passato, mi decapitavano e friggevano nel microonde.
Deve essere stata dura.
Sempre meglio che essere collezionata. Incensata in mille versioni su uno scaffale. Insopportabile. Io sono atea e le genuflessioni non mi piacciono. La chiesa inglese mi ha scomunicato e in Arabia Saudita sono fuori commercio. Ne vado fi era. Un po’ meno il signor Mattel.
Che rapporti ha con lui?
Puramente professionali. Come può desumere dal mio curriculum.
Le deve qualcosa, al signor Mattel?
Ho avuto 38 animali, tra gatti cani zebre e cavalli. Sono stata tennista, ambasciatrice dell’Unicef, skater, veterinaria, ufficiale di Marina e tanto altro. Ho avuto decine di ville, automobili e gioielli. Sono stata in tutto il mondo e a breve uscirà un fi lm dedicato alla mia vita. Diciamo che qualche sfizio, grazie ai suoi denari, me lo sono tolta.
Non le è mai mancato nulla?
No.
Un matrimonio? I fi gli?
Fin dai primi anni ho dovuto subire l’imposizione di un rapporto.
Con Ken.
Sì, un beota totale. Non ho mai voluto sposarlo. Ho partorito due volte, una nel ‘63 e una nel 2002. Ma per contratto la mia maternità finiva lì. Non saprei dirle se ho sofferto o meno. È una domanda che non mi voglio porre, tantomeno con lei.
Tornando a Ken. Nel 2004, dopo 43 anni di fidanzamento vi siete separati. Nel 2006 siete tornati insieme. Perché?
Noi ci conoscemmo nel ‘61 su un set televisivo. Non sono amori che durano, quelli. Passavamo più tempo a indossare abiti di scena che altro. Per anni non abbiamo fatto l’amore. E quelle poche volte gliele raccomando. Nel 2004 ho conosciuto Blaine, il surfista. Alto, biondo, scanzonato. Altra pasta.
Una storia appassionata?
Mi sono divertita. In quegli anni cronisti annoiati pubblicavano pezzi di fuoco sulla mia presunta anoressia. “Barbie è un modello negativo, rovina le nostre fi glie”. Cose così.
E invece?
Ero magra perché non stavo mai ferma. (sorride)
Visto che ha introdotto l’argomento: è stata mai attratta sessualmente da una donna?
Mi eccitavano le Bratz. O forse ne invidiavo lo stile.
Un po’ maschile.
Perché, le sembra che io possa essere il simbolo del femminismo?
No, certo. Cosa pensa del femminismo?
Ho preso tanta merda dalle femministe. Non posso essere obiettiva. Ricordo ancora gli sguardi affi lati, quando stavo alla Manhattan International High School.
Nel 2004 ha fondato il Partito delle Ragazze, con un vero e proprio programma elettorale.
Mi candidai alle presidenziali, se è per questo. Il mio manifesto insisteva su tre punti: pace nel mondo, aiuti per i senzatetto e cura per gli animali. Mi vestirono come Hillary Clinton. Forse per questo non vinsi.
Che opinione si è fatta di Obama?
Se gli toglie la giacca restano due orecchie a sventola. Come politico, sono in attesa.
Nel corso degli anni il termine “Barbie”ha spesso assunto il significato di ragazza di bell’aspetto ma senza spessore. Il gruppo danese Aqua ci ha fatto pure una canzone.
E noi li abbiamo denunciati per violazione dei diritti d’autore. Comunque, non me ne importa niente se il mio nome ha quell’accezione. Esistono anche le bruttine stupide, ed è peggio.
Nel 1992 la Mattel ha distribuito un suo esemplare in grado di pronunciare 270 frasi. Una di queste, «La matematica è difficile», fece arrabbiare alcune femministe.
Come può testimoniare, ho sempre parlato, e anche bene. Solo che non ho mai avuto grandi motivi di conversazione con le bambine. Secondo poi, per quanto quelle frasi dovetti pronunciarle per contratto, lo ribadisco: non capisco la matematica. Ma nel 1999 sono stata insegnante di linguaggio dei segni e dal 1973 primario di chirurgia. Lei può dire lo stesso?
No. La sua versione del 1959, la prima, vale quasi 4mila dollari. Ne va fiera?
Non me ne frega niente. Non ci prendo un euro, e considero questa affezione per il mio passato una compulsione feticista.
Però alimenta il suo mito, e le garantisce un futuro.
Lei pensa che io abbia un futuro? È convinto che le bambine desiderino ancora avere tra le mani un pezzo di plastica come me? Nel 2009?
Le chiedo un’opinione sul nostro paese, sul caso escort.
Ascolti: io sono stata per anni la bambola preferita delle bambine e dei loro padri. Conosco i loro sguardi. Quando le fi glie erano assenti, loro mi alzavano la gonna per vedere il culo, mi toglievano i vestiti per tastarmi le tette. Per contratto, ripeto, dovevo sorridere, sempre e comunque. E questo ho fatto. Ma dio solo sa quanto disprezzo e schifo stillava dai miei occhi, una volta che i padri uscivano dalla camera. Presumo che sia lo stesso sentire che ha segnato il volto di Patrizia D’Addario.
Ha mai pensato di vendicarsi di questo suo destino?
La plastica del mio corpo è piena di piombo. Le sembra sufficiente?






pubblicato su L'Altro

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