martedì 22 maggio 2012
Sei stata (anche) una grande cantante
La cantante di jazz guardava le locandine del Mocambo, il popolarissimo club di Hollywood, divorandole con gli occhi. Suonare lì voleva dire spiccare il volo. L'impedimento non era il talento, che già aveva ottima stampa e un seguito da far invidia a colleghe più introdotte, ma l'essere una donna afroamericana (erano gli anni Cinquanta, e non si viveva di solo Billy Wilder). Per questo l'amica bionda, anche lei vocalist, allieva di Hal Schaefer, e attrice di fama, vantando un bel credito con quel locale, alzò la cornetta e chiamò il proprietario. «Se ingaggiate Ella – confesserà anni dopo la Fitzgerald – sarò presente ogni sera, seduta al tavolo di fronte al palco». E così fu. «A ogni esibizione era lì. Con i giornalisti ad affollare il locale».
La bellezza della bruttezza
Che brutta cosa che può essere la bellezza. Quanta crudeltà e ossessione sprigionano i suoi occhi, abituati nei secoli ad essere omaggiati da élite e oligarchie. Guerre dichiarate per una bellezza sottratta. E i miti e le divinità elette per celebrarla. La bellezza, l'insegna sotto cui si scatenano le più incontrollabili pulsioni. Con un unico rivale: il denaro, diceva Marx, «il solo che può compensare la mancanza di bellezza». Sinonimo dunque di opulenza, privilegio. Capitale. Strumento all'uopo aggressivo, cinico e spietato. La bellezza non olet. E la sua ferocia, col bagaglio di finzioni e meschinità, di effetti speciali e piaggerie, trova nella sua ombra, nell'identità uguale e contraria che si porta dietro dai tempi di Policleto – la bruttezza – il bersaglio prediletto.
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