Il “fasciocomunista“ è tornato, e dà appuntamento per l’intervista a mezzanotte in punto. «So’ nottambulo, è ‘na cosa che m’è rimasta addosso dai turni in fabbrica». È tornato, Antonio Pennacchi l’ex missino, servitore del popolo, sessantottino, socialista, comunista, Cgillino, Uillino, operaio all’Alcatel Cavi, dottore in lettere, autore di 9 libri ed eroe cinematografico nell’interpretazione di Elio Germano. È di nuovo qui, il fratello del re dei notisti politici Gianni (da poco scomparso) e della deputata Pd Laura, ed è ancora incazzatissimo. «In questo paese di merda nessun giornale mi fa scrivere. Sono tutti conformisti». Ma intanto, il nuovo libro è in odor di premio Strega e i critici di prestigio lo hanno salutato come «un capolavoro, all’altezza di Manzoni. E grazie al quale capiremo l’Italia del futuro». Canale Mussolini (Mondadori, 20 euro, pp. 464), dal nome del canale “Acque Alte“ che ancora oggi attraversa il territorio di Latina, narra la storia di una famiglia veneta (i Peruzzi di Codigoro) migrati nel Lazio a prender parte all’immane impresa di bonifica. Lo spunto è autobiografico, e le ragioni dell’opera assai chiare: «Bello o brutto che sia, questo è il libro per cui sono venuto al mondo». L’epopea di un territorio e di un popolo, quello veneto pontino, raccontato con tono epico, con citazioni bibliche e con accenni ai giorni nostri. Un lavorone, di ricerca e d’affetti. Per queste e altre cento ragioni converrebbe leggere il romanzo prima di entrare in contatto con Pennacchi il combattente. Per evitare siparietti come questo: «Tu il libro l’hai letto?». No. «E allora de che parlamo?».