martedì 2 novembre 2010

Io sono Prince

Tra pochi minuti sarò al concerto romano di Roger Nelson in arte Prince, ho già indosso un cappotto grigio che ricorda quello di Under the Cherry Moon (1986), e ciò che segue è scritto a memoria e sebbene qualcuno possa obiettare che questo non è “rigoroso” sappia che è frutto di anni di ricerca, osservazione e soprattutto amore, Love, con il segno della pace in luogo della “o” e il “4” per dire “for” e l'occhio (eye) al posto dell'io inglese, icone ben prima della rete, non semplici fanatismi, ma immedesimazione, nelle gesta, nelle parole e nei fallimenti di Prince da Minneapolis, 52 anni, mille strumenti tra le dita [...]
[...] compositore, produttore, ballerino, designer, vivido spunto per chi come me ha l'inclinazione a fare un po' tutto, pop vero che spiazza le attese, come disse dopo il successo di Purple rain (1984), «potrei approfittare dell'onda buona e cominciare il nuovo album Around the world in a day riattaccando dall'assolo di Let's go crazy», e invece incide un disco tra i Beatles e la west coast, questa – pensai – è vera provocazione, e la misi in tasca, altro che le mutande leopardate con reggicalze in Dirty mind, dove canta di incesto e fellatio su base punk, anche se una volta provai anche io a indossare una lunga camicia che sembrava quasi una gonna per andare a una festa di amici che ascoltavano Pink Floyd e sentiste gli sghignazzi, io incompreso, io che se I was your girlfriend (1987) non mi tratteresti così male, e infilavo cuffiette di gommapiuma fin dentro gli orecchi e Hot thing, barely 21 che manco capivo bene, con un ritmo che ti fa ballare anche da fermo, anche da sdraiato, quando volevo addormentarmi sovrapponendo lunghe ballate ai pensieri e pregavo con tutti i Revolution (1979-86), abbracciato in circolo a Wendy e Lisa, prima di salire sul palco, God is Love, Love is God, Girls 'n boys love God above, parole che dovevano al suono il loro senso, Kiss è un bacio che non chiede traduzione, e io mi vantavo che era il primo funky senza basso, incredibile, «in che senso?», nel senso che se alle cose sottrai le cose le rendi sublimi (non è vero che dicevo così, oggi direi così, ma allora non lo sapevo), poi c'erano i bulli a cui piacevano gli U2 e dicevano «quel frocetto di Prince», ora, prima di tutto Prince è il superamento dei generi, non è uomo non è donna, è uomissimo, è donnissimo, è gay, straight, trans e wow, mentre Bono Vox è solo un irlandese con il nome da radioamatore, e poi mi ricordo una fantastica intervista durante il tour di Lovesexy (1988-89) in cui Prince disse «io con The Cross ho dimostrato di saper comporre brani rock, loro ora dimostrino di saper fare arrangiamenti come Housequake», i bulli ancora piangono, voci in falsetto come quelle di Darling Nikki, contro cui si scagliò la moglie di Al Gore, Tipper, inventora del logo “Explicit Lyrics & Parental Advisory”, marcia silenziosa di nero vestita mentre Prince invitava tutti a colorarsi di viola e di pesca, mistero (la pesca), io stavo a Londra, Wembley, gli occhi spalancati come nella cura Ludwig di Arancia Meccanica, perché tutto andasse registrato, secondo per secondo, ché non lui ma io esistevo, tra luci e fumi, ma non ricordo nulla, sorry, una nota, un passo di danza, un verso, e fu così che qualche anno dopo, sulle note di Sexy Mother Fucker (1993) Prince non si chiamò più, scelse a rappresentarlo un simbolo, il Love Symbol, O(+>, maschio&femmina, e qualcosa si interruppe, perché io capii che lui voleva rompere con la Warner Bros. e andare mentre io avevo bisogno di conferme, proprio in quel momento lì, riferimenti solidi, lui sguisciava, divenne testimone di Geova militante (porta a porta a Minneapolis, documentato), vegetariano, album piacioni e banali, ritocchi plastici e aria da guru, io no, pantaloni di velluto a coste e invecchiavo, diventavo comunista e leggevo il manifesto, accumulavo dischi di jazz «però solo fino agli anni Cinquanta», fumavo le ms mild e parlavo di “immateriale”, perdevo luminosità, arretrando in un patetico seppiato imboccavo una via che pareva non dovesse avere ritorno, abbarbicato alla liana del ragionamento, senza più la magia del decifrare frasi come «let's fall in love, get married, have a baby, we'll call him Nate... if it's a boy» (Nate?), o a consolare con titoli magistrali, Sometimes it snows in april (1986), senza più voglia di festeggiare, «so tonight I'm gonna party like it's 1999» (1982), in quel modo almeno, come se non fosse più il caso, che scemo, così serio e adulto e poi basta una rubrica su l'espresso o la pagina degli spettacoli, una foto di the artist formerly known as prince per ripiombare in quello stato di grazia che credevo perso, leggo e rileggo la didascalia per capire dove e quando siamo, guardo il viso per fare il conto di quanti anni..., osservo la posizione delle gambe per capire se sta per fare la spaccata con piroetta o se l'ha già fatta e tutti piangono dalla commozione, come quella sera del 1988, Eurovisione, concerto di Prince in diretta da Dortmund, Raitivvù, io mi pettino pure, in casa capiscono e si chiudono nelle stanze, ho il salotto tutto per me, palco circolare, capelli lunghi e corvini, Sheila E, Cat (I need you 2 rap) ed Eric Leeds al sax, qualcosa non funzione, l'audio arriva in ritardo, il labiale non corrisponde, lo stanno uccidendo, così mi state ammazzando, l'errore fu rimediato solo sul finale, io sudato, Prince pure, Alphabet street, «to put the right letters together and make a better day», un giorno migliore, un mondo migliore, Ronnie, talk to Russia (Reagan, parla con Brežnev prima che sia troppo tardi, 1981), un luogo bellissimo fatto di D.M.S.R. (1982), dance music sex romance.
Dunque è così, è una storia d'amore, null'altro. L'ultimo incontro risale al 1992,  Love Symbol tour, Zurigo. Diciotto anni non sono pochi, capirete bene. Ok. Il cappotto è allacciato, ho tutto con me, faccio un profondo sospiro e con commozione: Oh yeah, sono pronto a risalire sul palco. Desideravo che voi lo sapeste.

Nessun commento:

Posta un commento